Epitome de Caesaribus Capitolo 1

Epitome de Caesaribus di Aurelio Vittore
Capitolo 1 - Gaio Giulio Cesare Ottaviano Augusto

1.1 Anno urbis conditae septingentesimo vicesimo secundo, ab exactis vero regibus quadringentesimo octogesimoque, mos Romae repetitus uni prorsus parendi, pro rege imperatori vel sanctiori nomine Augusto appellato.

Nel 722 a partire dalla fondazione della Città (di Roma), in verità dopo la cacciata dei re nel 480, si riacquistò a Roma la tradizione di obbedire proprio ad uno solo, invece del re, all’imperatore o per meglio dire al più virtuoso chiamato con il nome di Augusto.

1.2 Octavianus igitur, patre Octavio senatore genitus, maternum genus ab Aenea per Iuliam familiam sortitus, adoptione vero Gai Caesaris maioris avunculi Gaius Caesar dictus, deinde ob victoriam Augustus cognommatus est.

Dunque Ottaviano, nato dal padre Ottavio il senatore, ottenuta in sorte la discendenza materna da Enea per la famiglia Giulia, chiamato in realtà Gaio Cesare per adozione dello zio Gaio Cesare maggiore, venne soprannominato per la vittoria Augusto.

1.3 Iste in imperio positus tribuniciam potestatem per se exercuit.

Costui dopo che fu posto al comando esercitò per sé (in modo assoluto) il potere tribunizio.

1.4 Regionem Aegypti inundatione Nili accessu difficilem inviamque paludibus in provinciae formam redegit.

Assoggettò la complicata regione dell’Egitto per la conformazione naturale del Nilo all’inondazione ed impraticabile a causa delle paludi conformemente alla predisposizione naturale della provincia.

1.5 Quam ut annonae urbis copiosam efficeret, fossas incuria vetustatis limo clausas labore militum patefecit.

Per ciò per renderla provvista dei viveri della città, aprì con la manodopera dei soldati i fossati chiusi dal fango per l’incuria dell’antichità.

1.6 Huius tempore ex Aegypto urbi annua ducenties centena milia frumenti inferebantur.

A partire da quel momento dall’Egitto venivano portate in città duecento e cento mila di provviste annue di frumento

1.7 Iste Cantabros et Aquitanos, Rhaetos, Vindelicos, Dalmatas provinciarum numero populo Romano coniunxit. Suevos Cattosque delevit, Sigambros in Galliam transtulit. Pannonios stipendiarios adiecit. Getarum populos Basternasque lacessitos bellis ad concordiam compulit.

Costui legò all’elenco delle province con il popolo Romano i Cantabri e gli Aquitani, i Reti, i Vindelici, i Dalmazi. Distrusse i Suevi e i Catti, trasferì i Sigambri in Gallia. Aggiunse i Pannonici stipendiari. Respinse le popolazioni dei Geti e i Basterni che erano state richiamate alla tregua dalle guerre.

1.8 Huic Persae obsides obtulerunt creandique reges arbitrium permiserunt.

I Persiani gli offrirono gli ostaggi e gli accordarono il potere di eleggere i re.

1.9 Ad hunc Indi, Scythae, Garamantes, Aethiopes legatos cum donis miserunt.

Gli Indi, gli Sciti, i Garamanti, gli Etiopi inviarono presso di lui i legati con doni.

1.10 Adeo denique turbas bella simultates execratus est, ut nisi iustis de causis numquam genti cuiquam bellum indixerit. Iactantisque esse ingenii et levissimi dicebat ardore triumphandi et ob lauream coronam, id eat folia infructuosa, in discrimen per incertos eventus certaminum securitatem civium praecipitare;

Infine maledì le masse le guerre le contese a tal punto, da non dichiarare mai guerra ad alcun popolo se non per cause giuste. Ed affermava con il delicatissimo ardore di colui che avrebbe dovuto trionfare di essere pieno d’ingegno e per la corona di alloro, questo (ingegno) vada tra le foglie infruttuose (tra le vane parole), che la sicurezza dei cittadini cade tra gli eventi incerti delle contese in pericolo;

1.11 neque imperatori bono quicquam minus quam temeritatem congruere: satis celeriter fieri, quicquid commode gereretur,

E che nessuna cosa collima di meno con un onesto imperatore della temerarietà: che (ciò) avviene abbastanza celermente, qualunque cosa dovrebbe essere sopportata convenientemente,

1.12 armaque, nisi maioris emolumenti spe, nequaquam movenda esse, ne compendio tenui, iactura gravi, petita victoria similis sit hamo aureo piscantibus, cuius abrupti amissique detrimentum nullo capturae lucro pensari potest.

E che le armi, se non per la speranza di un maggiore vantaggio, non dovrebbero essere affatto agitate, non per un superfluo profitto, per un importante guadagno, una simile vittoria dovrebbe essere agognata dai pescatori con l’amo d’oro, il cui danno infranto e perduto non può essere valutato in base ad alcun guadagno di bottino.

1.13 Huius tempore trans Rhenum vastatus est Romanus exercitus atque tribuni et propraetor. Quod in tantum accidisse perdoluit, ut cerebri valide incursu parietem pulsaret, veste capilloque ac reliquis lugentium indiciis deformis.

Al tempo di costui  fu devastato al di là del Reno   l'esercito Romano   e per giunta  i tribuni e  il propetore. Provava dispiacere che si era giunti  ad  una situazione tanto grave, da battere fortemente il muro (la barriera)  con  l’irruzione  della mente,   con la veste la capigliatura e tutte  le  altre manifestazioni turpi di coloro che piangono.

1.14 Avunculi quoque inventum vehementer arguebat, qui milites commilitones novo blandoque more appellans, dum affectat carior fieri, auctoritatem principis emolliverat.

Manifestava anche violentemente lo stratagemma dello zio, che chiamando con una nuova e blanda abitudine i  soldati commilitoni, durante tutto il tempo che desiderava di   divenire più caro,  aveva indebolito l'autorità del principe.

1.15 Denique erga cives clementissime versatus est.

In fin dei conti si comportava molto  bonariamente verso i cittadini.

1.16 In amicos fidus extitit. Quorum praecipui erant ob taciturnitatem Maecenas, ob patientiam laboris modestiamque Agrippa. Diligebat praeterea Virgilium. Rarus quidem ad recipiendas amicitias, ad retinendas constantissimus.

si mostrava fedele verso gli amici. i migliori tra questi erano Mecenate  per la discrezione, Agrippa  per la modestia e la sopportazione della fatica. Apprezzava inoltre Virgilio. era straordinario nel ricevere gli amici, molto costante nel trattenerli.

1.17 Liberalibus studiis, praesertim eloquentiae, in tantum incumbens, ut nullus ne in procinctu quidem laberetur dies, quin legeret scriberet declamaret.

era incline agli studi liberali, soprattutto all'eloquenza, a tal punto che nessun giorno  neppure  in battaglia sfuggiva (a ciò), anzi leggeva scriveva  e declamava.

1.18 Leges alias novas alias correctas protulit suo nomine. Auxit ornavitque Romam aedificiis multis, isto glorians dicto:

presentò sotto il suo nome alcune nuove leggi,    altre corrette. ingrandì ed ornò Roma con molti edifici, gloriandosi con  questo detto:

1.19 "Urbem latericiam repperi, relinquo marmoream."

"ho trovato una città di mattoni,  la lascio marmorea."

1.20 Fuit mitis gratus civilis animi et lepidi, corpore toto pulcher, sed oculis magis. Quorum acies clarissimorum siderum modo vibrans libenter accipiebat cedi ab intendentibus tamquam solis radiis aspectu suo. A cuius facie dum quidam miles oculos averteret et interrogaretur ab eo, cur ita faceret, respondit: "Quia fulmen oculorum tuorum ferre non possum".

Fu mite gradevole d’animo affabile e piacevole, bello in tutto il corpo, ma di più negli occhi. La loro acutezza scintillando come delle chiarissime stelle   accettava di buon grado di essere evitato da coloro che   protendevano così come i raggi del sole verso il suo sguardo. Mentre un soldato allontanava lo sguardo dal viso di costui  e veniva interrogato, sul perché si comportasse in tal modo, rispose: “perché non posso sostenere il bagliore dei tuoi occhi.”

1.21 Nec tamen vir tantus vitiis caruit. Fuit enim panlulum impatiens, leniter iracundus, occulte invidus, palam factiosus; porro autem dominandi supra quam aestimari potest, cupidissimus, studiosus aleae lusor.

Tuttavia l’uomo tanto straordinario non mancò di difetti. Fu infatti un pochino impaziente, leggermente collerico, segretamente invidioso, palesemente fazioso; continuando poi  avidissimo di potere più di quanto si può credere, zelante giocatore d’azzardo.

1.22 Cumque esset cibi ac vini multum, aliquatenus vero somni abstinens, serviebat tamen libidini usque ad probrum vulgaria famae. Nam inter duodecim catamitos totidemque puellas accubare solitus erat.

Ed  anche se era abbondante di cibo e di vino,  veramente indifferente fino ad un certo grado al sonno, era tuttavia schiavo della libidine  fino all’impudicizia di fama volgare. Infatti  era solito giacere tra i dodici amasi ed altrettante fanciulle.

1.23 Abiecta quoque uxore Scribonia amore alienae coniugis possessus Liviam quasi marito concedente sibi coniunxit. Cuius Liviae iam erant filii Tiberius et Drusus.

Scacciata anche la moglie Scribonia per amore di un’altra coniuge possedendo Livia si unì come un marito accondiscendente. Livia aveva già i figli Tiberio e Druso.

1.24 Cumque esset luxuriae serviens, erat tamen eiusdem vitii severissimus ultor, more hominum, qui in ulciscendis vitiis, quibus ipsi vehementer indulgent, acres sunt. Nam poetam Ovidium, qui et Naso, pro eo, quod tres libellos amatoriae artis conscripsit, exilio damnavit.

Ed anche se era schiavo della lussuria, era tuttavia un severissimo castigatore di questo stesso difetto,  secondo il costume degli uomini,  coloro che nel punire i difetti, verso cui loro stessi sono fortemente indulgenti, sono  taglienti. Infatti condannò in esilio il poeta Ovidio in alternativa anche Nasone, per il fatto che aveva scritto tre libretti dell’arte amatoria.

1.25 Quodque est laeti animi vel amoeni, oblectabatur omni genere spectaculorum, praecipue ferarum incognito specie et infinite numero.

E, cosa che è proprio di un animo lieto e piacevole, si dilettava con ogni genere di spettacoli, particolarmente delle fiere perché non era noto l’aspetto e  la quantità in generale.

1.26 Annos septem et septuaginta ingressus Nolae morbo interiit.

All’età di 77 anni morì a Nola di malattia.

1. 27 Quamquam alii scribant dolo Liviae exstinctum metuentis, ne, quia privignae filium Agrippam, quem odio novercali in insulam relegaverat, reduci compererat, eo summam rerum adepto poenas daret.

Anche se alcuni scrivevano che era deceduto  per l’inganno di Livia chetemeva, , per il fatto che   aveva saputo che Agrippa  il figlio  della figliastra, che era stato relegato in un’isola per l’odio della matrigna, era stato richiamato in patria,   avrebbe inflitto castighi a colui che  desiderava  la supremazia delle cose.

1.28 Igitur mortuum seu necatum multis novisque honoribus senatus censuit decorandum. Nam praeter id, quod antea Patrem patriae dixerat, templa tam Romae quam per urbes celeberrimas ei consecravit, cunctis vulgo iactantibus: "Utinam aut non nasceretur aut non moreretur!"

Dunque morì o per meglio dire fu ucciso il senato decretò che bisognava fregiarlo con molti e nuovi onori. Infatti oltre a quello, che anticamente era definito il padre della patria, gli consacrò templi sia a Roma che tra le città più celebri, a tutti quanti che si gettavano in massa: “volesse il cielo  o   che non fosse nato o che non fosse morto!”

1.29 Alterum pessimi incepti, exitus praeclari alterum. Nam et in adipiscendo principatu oppressor libertatis est habitus et in gerendo cives sic amavit, ut tridui frumento in horreis quondam viso statuisset veneno mori, si e provinciis classes interea non venirent.

La prima di un pessimo esordio, la seconda di una splendida fine. Ed infatti nel  raggiungere e nel governare  il principato fu considerato oppressore della libertà ed amò a tal punto i cittadini,   che un giorno appurata nei granai il frumento di tre giorni decise che sarebbe morto di  veleno, se  in quel mentre le flotte non fossero giunte dalle province.

1.30 Quibus advectis felicitati eius salus patriae est attributa. Imperavit annos quinquaginta et sex, duodecim cum Antonio, quadraginta vero et quattuor solus.

Quando queste giunsero  per la fortuna di tale evento   gli venne attribuita la salvezza della patria. Regnò per  56 anni, 12 con Antonio, poi 44 anni da solo.

1.31 Qui certe nunquam aut reipublicae ad se potentiam traxisset aut tamdiu ea potiretur, nisi magnis naturae et studiorum bonis abundasset.

Costui sicuramente o  non si trascinò mai dietro per sé la potenza dello stato o  non  la ottenne (riferito alla potenza dello stato) tanto a lungo, a meno che non avesse abbondato di grandi beni di nascita e  di studi. (by Maria)

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