Un poeta in balia delle onde

Me miserum! Quanti montes volvuntur aquarum! Iam iam eos sidera tacturos esse putem....

Povero me! Quante montagne di acque (=cavalloni) (mi) travolgono! Crederei che stiano già per toccare le stelle.

Quanti abissi, aperto il mare, sprofondano. Direi che arrivino già al nero Tartaro. Dovunque guardi non c'è niente se non mare e cielo, l'uno minaccioso di gonfi flutti, l'altro di nere nubi. Tra l'uno e l'altro fremono i venti con un turbine immane: non sai a quale vento obbedisca l'onda del mare. Infatti ora l'Euro acquista potenza dal purpureo oriente, ora sopraggiunge Zefiro mandato dall'occidente, ora il gelido Borea infuria dal nord, ora il Noto porta battaglie dalla parte opposta, il pilota è incerto, né trova che rotta evitare o fuggire.

Per poco non precipitiamo e non c'è speranza di salvezza, se non vana, e mentre parlo, l'acqua inonda la mia faccia. Ma a casa la devota moglie non sa che sono sbattuto qua e là nell'immenso mare, non sa che sono scosso dai venti, non sa che la morte è imminente. Ahimè! Come hanno brillato le nuvole di improvvisi bagliori! Quanto fragore risuona dalla volta celeste!

I fianchi della nave sono colpiti non più debolmente dalle onde rispetto al grosso peso delle balestre che colpisce le mura della città assediata. Io non temo la morte: ma credo che la morte in patria sia meno funesta. Sia tolto il naufragio: la morte per me sarà un dono. Ah se potessi deporre il corpo in patria e non essere cibo per i pesci del mare!

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