Astronomia: il sistema solare (Versione latino Plinio il Vecchio)

Astronomia: il sistema solare
versione latino Plinio il Vecchio e traduzione

Mundum et hoc quodcumque nomine alio caelum appellare libuit, cuius circumflexu degunt cuncta, numen esse credi par est, aeternum, inmensum, neque genitum neque interiturum umquam....

L’universo e questo complesso che con altro nome è piaciuto chiamare cielo che con la sua volta racchiude la vita del creato, non si sbaglia a ritenerlo una divinità, senza limiti nel tempo e nello spazio, non generato e non destinato a morire.

Ricercare ciò che è al di fuori di esso non ha importanza per l’uomo e sfugge alla capacità della mente umana. È un’entità sacra, eterna, immensa, tutta quanta compresa nel tutto: anzi è precisamente «il tutto»; infinita, eppure simile al finito; determinata in tutto, eppure simile all’indeterminato; capace di tenere insieme il tutto, fuori e dentro di essa; creazione della natura e natura creante essa stessa. È una vera e propria pazzia che alcuni abbiano pensato di calcolarne le dimensioni e abbiano avuto l’ardire di renderle pubbliche e che altri, sia che a loro volta da costoro hanno colto l’occasione o che l’hanno loro offerta, abbiano insegnato che esistono innumerevoli universi: al punto che bisognerebbe credere all’esistenza di altrettante nature, oppure, se una le comprendesse tutte, all’esistenza di altrettanti soli e di altrettante lune e di tutti gli altri astri che anche per un solo universo sono cosi immensi e innumerevoli; come se gli stessi problemi non siano alla conclusione destinati a presentarsi sempre alla mente umana, per il bisogno di trovare un limite, ovvero, quand’anche questa mancanza di limite si possa attribuire al creatore dell’universo, non sia più facile comprendere questo stesso concetto considerandolo in una sola entità, specialmente se di tali dimensioni.

Pazzia è dunque, vera e propria pazzia, oltrepassare i limiti dell’universo e, come se avessimo piena conoscenza di tutto ciò che è in esso compreso, indagare con altrettanta attenzione ciò che ne è di fuori, quasi chi non conosce la propria potesse calcolare la misura di qualche altro essere creato, o come se la mente umana potesse scorgere quello che l’universo stesso non riesce a contenere in sé. Che la sua forma sia rotonda, a mo’ di sfera perfetta, lo prova anzitutto il nome e il consenso di tutti gli uomini a chiamarlo globo. Inoltre ce ne fanno edotti delle prove di fatto, non solo perché questa figura geometrica gravita su se stessa in tutte le sue parti e deve sostenersi e in sé risulta chiusa e compatta, senza aver bisogno d’alcuna connessione e senza presentare in nessuna delle sue parti alcun indizio donde cominci e dove abbia termine; e non perché un corpo di tal fatta è particolarmente idoneo al moto, con cui, come vedremo presto, continuamente ruota, ma anche perché ce lo prova la vista stessa, dal momento che l’universo, dovunque lo si contempli, appare convesso e come visto dal centro: particolarità questa che non è dato di riscontrare in nessun’altra figura geometrica.

Il nascere e il tramontar del sole ci hanno dato la certezza che questo corpo celeste sferico compie nel tempo di ventiquattro ore una rivoluzione che è eterna e senza soste, a una velocità incredibile. Se poi abbia una intensità non misurabile e sia per questo che sfugga all’udito il suono prodotto da una tale mole in rotazione continua, non sono in grado di affermarlo con sicurezza: e neppure, per Ercole, se sia altrettanto inafferrabile l’acuto suono stridente degli astri nel loro giro orbitale, o se sia un dolce concerto di indicibile soavità. Per noi che ci viviamo all’interno l’universo scorre silenzioso dì e notte

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