Un tiranno entra nell’antica città ed immediatamente opprime gli abitanti con un malvagio governo. Il popolo, come è solito, a gara accorre, applaude, acclama: «Alla salute, felicità! La tua tirannide è una fortuna!». I principali cittadini assieme alle guardie ed ai sacerdoti portano doni, mettono tra le braccia del tiranno oro, baciano (bāsĭo, as, āvi, ātum, āre) gli occhi, le dita, la corazza del tiranno.
Poeti e dotti svendono l’intelligenza al tiranno, lodano il nuovo governo, promettono aiuto e chiedono benefici. Signore ed ancelle portano unguenti e rose, impreziosiscono il mantello del tiranno, dichiarano gli oracoli favorevoli. Nel frattempo dalla gran calca spunta (prōsĭlĭo, is, sĭlŭi o sĭlīvi o sĭlĭi, īre) un fanciullo: desidera vedere il tiranno.
(SENON quasi sicuramente “sed non”) Ma non lo vede: difatti una schiera di guardie protegge il tiranno proprio come un muro.
E quindi il fanciullo: «Perché allora tante guardie se abbiamo un regno pieno di fortuna?».
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