versione Cicerone PAESE CHE VAI USANZA CHE TROVI

Messaggioda ozname » 22 feb 2011, 15:27

mi servirebbe la versione di latino 2Paese che vai, usanza che trovi" di Cicerone, ma non so il libro da cui è presa.
inizia così:
Videmus in illa incorrupta maxime gente Aegyptiorum, quae plurimorum seculorum et eventorum memoriam litteris continet, ...
E finisce:
Galli turpe esse ducunt frumentum manu quaerere, itaque armati alinos agros demetunt.
Grazie in anticipo
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Messaggioda giada » 22 feb 2011, 17:24

Traila da questo passo originale:

Nunc autem, si quis illo Pacuviano 'invehens alitum anguium curru' multas et varias gentis et urbes despicere et oculis conlustrare possit, videat primum in illa incorrupta maxume gente Aegyptiorum, quae plurimorum saeculorum et eventorum memoriam litteris continet, bovem quendam putari deum, quem Apim Aegyptii nominant, multaque alia portenta apud eosdem et cuiusque generis beluas numero consecratas deorum; deinde Graeciae sicut apud nos delubra magnifica humanis consecrata simulacris, quae Persae nefaria putaverunt, eamque unam ob causam Xerxes inflammari Atheniensium fana iussisse dicitur, quod deos, quorum domus esset omnis hic mundus, inclusos parietibus contineri nefas esse duceret. (15) post autem cum Persis et Philippus, qui cogitavit, et Alexander, qui gessit, hanc bellandi causam inferebat, quod vellet Graeciae fana poenire; quae ne reficienda quidem Grai putaverunt, ut esset posteris ante os documentum Persarum sceleris sempiternum. quam multi, ut Tauri in Axino, ut rex Aegypti Busiris, ut Galli, ut Poeni, homines immolare et pium et diis immortalibus gratissumum esse duxerunt! vitae vero instituta sic distant, ut Cretes et Aetoli latrocinari honestum putent, Lacedaemonii suos omnis agros esse dictitarint quos spiculo possent attingere. Athenienses iurare etiam publice solebant omnem suam esse terram quae oleam frugesve ferret; Galli turpe esse ducunt frumentum manu quaerere, itaque armati alienos agros demetunt; (16) nos vero iustissimi homines, qui Transalpinas gentis oleam et vitem serere non sinimus, quo pluris sint nostra oliveta nostraeque vineae.

Ma oggi se qualcuno, portato da quel "carro tirato da dragoni alati" di cui parla Pacuvio, potesse vedere ed esaminare le molte e varie nazioni e città, presso il popolo Egiziano, immutevole per eccellenza, che ha nelle sue lettere memoria d'innumerevoli secoli ed eventi, troverebbe che si considera Dio un bove che gli Egiziani chiamano Api, e molti altri portenti e belve d'ogni genere ammesse nel novero degli Dei. Vedrebbe poi, in Grecia come presso di noi, magnifici templi consacrati a simulacri umani che i Persiani consideravano un'empietà. E si vuole che, proprio per questo, Serse desse l'ordine d'incendiare i templi degli Ateniesi, considerando come sacrilego che Dei, la cui casa avrebbe dovuto essere tutto l'universo, fossero stati chiusi fra quattro mura. Più tardi, Filippo, che meditò, e Alessandro che condusse la guerra contro i Persiani, giustificavano le loro armi col desiderio di vendicare l'incendio dei templi greci. E i Greci non avevano voluto neppure ricostruirli perch? i posteri avessero dinnanzi agli occhi un sempiterno monumento della scelleratezza persiana. E quanti, come i Tauri sul Ponto Euxino, e Busiride, il re d'Egitto, e i Galli e i Cartaginesi, credettero che immolare uomini fosse e cosa pia e gratissima agli Dei immortali! I nostri istituti morali sono così diversi da paese a paese che i Cretesi e gli Etoli considerano cosa giusta il brigantaggio, e gli Spartani dicevano in loro potere tutte le terre che potesse raggiungere il loro dardo. Gli Ateniesi giuravano, dal canto loro, anche pubblicamente, che tutti i campi che avessero grani o olivi eran di loro
proprietà. Per i Galli è un delitto arare la terra e vanno armati a mietere il grano altrui. E noi, infine, i più giusti fra gli uomini, che non permettiamo alle popolazioni transalpine di piantare l'olivo e la vite per tener più alto sul mercato il prodotto dei nostri oliveti e delle nostre vigne.

giada

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