Solo neminem, cum ex amicis quendam graviter maerentem videret, in arcem perduxit hortatusque est ut per omnes subiectorum aedificiorum partes oculos circumferret. Quod ut factum animadvertit, "cogita nunc tecum" inquit "quam multi luctus sub his tectis et olim fuerint et hodieque versentur et insequentibus saeculis sint habitaturi ac mitte mortalium incommoda tamquam propria deflere". Qua consolatione demonstravit urbes esse humanarum cladium consaepta miseranda. idem aiebat, si in unum locum cuncti mala sua contulissent, futurum ut propria deportare domum quam ex communi miseriarum aceruo portionem suam ferre mallent. Quo colligebat non oportere nos quae fortuito patiamur praecipuae et intolerabilis amaritudinis iudicare.
Solone vedendo uno dei suoi amici abbandonarsi al dolore, lo condusse sull'acropoli e lo esortò a girare tutt'intorno lo sguardo su tutte le case dei quartieri sottostanti. Quando vide che l'aveva fatto, disse: "Pensa ora fra te e te quante sventure vi siano state in passato sotto questi tetti e ve ne siano anche oggi e ve ne saranno nei secoli futuri; e smettila di gemere sulle sciagure dei mortali, come se fossero cosa tua". Con queste parole di conforto volle fargli capire che le città sono miserevoli recinti di umane sventure. Diceva anche che, se tutti avessero portato in un sol luogo le loro sventure, sarebbe accaduto che avrebbero preferito riportare a casa le proprie piuttosto che prendere la parte spettante a ciascuno dal comune cumulo di mali. E cosi' concludeva che non dobbiamo giudicare come una calamità eccezionale e intollerabile quei mali che abbiamo dalla sorte.
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