"Scio ego, Quirites, plerosque non isdem artibus imperium a vobis petere et, postquam adepti sunt, gerere: primo industrios supplices modicos esse, dein per ignaviam et superbiam aetatem agere. Sed mihi contra ea videtur: nam quo pluris est uniuersa res publica quam consulatus aut praetura, eo maiore cura illam administrari quam haec peti debere. Neque me fallit, quantum cum maximo vestro beneficio negoti sustineam. Bellum parare simul et aerario parcere, cogere ad militiam eos quos nolis offendere, domi forisque omnia curare et ea agere inter invidos occursantis factiosos opinione, Quirites, asperius est. Ad hoc, alii si deliquere, uetus nobilitas, maiorum fortia facta, cognatorum et affinium opes, multae clientelae, omnia haec praesidio assunt; mihi spes omnes in memet sitae, quas necesse est virtute et innocentia tutari; nam alia infirma sunt. Et illud intellego, Quirites, omnium ora in me conuersa esse, aequos bonosque fauere--quippe mea bene facta rei publicae procedunt--, nobilitatem locum invadendi quaerere. Quo mihi acrius annitendum est, uti neque vos capiamini et illi frustra sint. Ita ad hoc aetatis a pueritia fui, uti omnis labores et pericula consueta habeam. Quae ante vestra beneficia gratuito faciebam, ea uti accepta mercede deseram, non est consilium, Quirites. Illis difficile est in potestatibus temperare, qui per ambitionem sese probos simulauere; mihi, qui omnem aetatem in optimis artibus egi, bene facere iam ex consuetudine in naturam vertit.
«So bene, Quiriti, che i più vi chiedono il potere in un modo e, ottenutolo, lo esercitano in un altro. Prima si mostrano attivi, deferenti e modesti; poi si rivelano negligenti e arroganti. Ma io la penso ben diversamente, perché quanto più importante è la repubblica nel suo complesso rispetto a un consolato o a una pretura, tanto più si deve preferire la cura effettiva dell'amministrazione dello Stato alla richiesta di queste cariche. So bene quanto sia impegnativo questo compito che io assumo per la vostra immensa benevolenza. Fare preparativi per la guerra senza intaccare l'erario, costringere al servizio militare persone che non si vorrebbero contrariare, aver cura di tutto sia in patria che all'estero e fare ciò tra la malevolenza, l'ostilità e gli intrighi, è, Quiriti, compito più difficile di quanto si possa supporre. Aggiungete che se altri sbagliano trovano mille motivi di difesa: l'antica nobiltà, le gesta dei loro antenati, le ricchezze di consanguinei e parenti, la folla di clienti. Io, se ho speranze, le ho solo in me, e devo tutelarle con il mio valore e con la mia integrità. Non posso contare su altro. Comprendo, Quiriti, che gli occhi di tutti sono rivolti a me, che i giusti e gli onesti mi sostengono, perché i miei successi tornano a vantaggio della repubblica, che la nobiltà, invece, è pronta ad attaccarmi. Tanto più devo darmi da fare perché voi non veniate irretiti e al tempo stesso quelli falliscano nei loro scopi. Dall'infanzia fino a questa età sono vissuto in mezzo a fatiche e pericoli di ogni genere. La condotta che io perseguivo senza mire di compenso prima di ottenere da voi questa carica, non intendo, Quiriti, cambiarla proprio ora che ho ricevuto la ricompensa. Moderarsi nell'esercizio del potere è difficile per coloro che si sono finti onesti durante la candidatura: per me, invece, che per tutta la vita mi sono dedicato all'esercizio della virtù, l'agire rettamente è diventato da abitudine, seconda natura.