da didaskalos » 23 giu 2011, 7:37
Chiunque deciderà di essere felice, reputi che l’unico bene è quello dell’onestà; in effetti, se pensa che ce ne sia un altro, in primo luogo giudica male la provvidenza, perchè agli uomini buoni capitano molte avversità, e perché qualsiasi cosa che ci ha dato è di breve durata e poco durevole se lo paragoni alla durata dell’intero universo. Da questo lamento deriva il fatto che siamo ingrati interpreti dei doni divini: ci lamentiamo del fatto che non ci capitino sempre, che ci capitino in esiguo numero, labili, e destinati a svanire. Da qui nasce il motivo per cui non vogliamo né vivere né morire: ci prende odio per la vita e la paura della morte. Ogni (nostra) decisione fluttua e nessuna felicità può soddisfarci. Il motivo è che non siamo giunti a (non abbiamo raggiunto) quel bene immenso e insuperabile, dove è necessario che la nostra volontà si fermi, perché non vi è altro luogo oltre la vetta. Ti chiedi perché la virtù non ha bisogno di nulla ? Si diletta dei beni presenti, non ambisce a quelli che non ci sono; per quella (essa) è grande tutto ciò che è sufficiente. Allontanati da questa valutazione: non risulterà nessuna pietà, nessuna fedeltà, molti di quelli che sono chiamati mali dovranno essere subìti da colui che desidera che siano garantite entrambe queste virtù, molte di quelle cose che assecondiamo come beni dovranno essere sacrificate. Viene meno il coraggio, che deve mettere alla prova se stesso; viene meno la grandezza d’animo, che non può eccellere se non ha disprezzato come insignificanti tutte le cose che la gente desidera come i più grandi beni; viene meno la riconoscenza e la dimostrazione di riconoscenza, se temiamo la fatica, se conosciamo qualcosa di più prezioso della fedeltà, se non teniamo fisso lo sguardo al sommo bene.
trad. didaskalos