da stuurm » 23 giu 2011, 10:46
Anche se già è stata tradotta dal tutor alquanto bene, propongo la mia interpretazione, spero di non irritare alcuno.
Chiunque stabilirà di essere felice, reputi che l’unico bene sia la virtù; infatti se pensa qualche altra cosa giudica per primo male la provvidenza, perché agli uomini onesti accadono molte disgrazie e perché qualunque cosa ci ha concesso è di breve durata ed insignificante se paragoni all’età di tutto l’universo. Da questo lamento ne segue che siamo ingrati interpreti dei beni divini; ci lamentiamo che non sempre capitino e che per noi scarsi ed incerti e sul punto di svanire. Ne risulta che né vogliamo vivere né morire; abbiamo odio della vita, timore della morte. Ogni progetto è incerto e non ci è possibile alcuna felicità. Il motivo poi è che non siamo arrivati a quel bene immenso ed insuperabile dove è inevitabile la nostra volontà si arresti perché non c’è posto oltre la cima. Chiedi perché la virtù non manchi di nulla? Gode dello stato attuale dei beni, non pretende i beni che mancano; niente non gli è grande quanto basta. Allontanati da questa convinzione: non si manterrà saldo il sentimento religioso, la lealtà, chi infatti vuole conservare l’una e l’altra deve sopportare molte cose di quelli che noi chiamiamo mali, molte cose deve sacrificare di cui ci compiacciamo come per beni. Scompare il coraggio che deve mettere alla prova di sé; scompare la grandezza d’animo che non può elevarsi se non disprezza tutti i beni come cose di poco conto quelli che la gente desidera a confronto dei beni più grandi; scompare la gratitudine e il rapporto di gratitudine se temiamo la fatica, se ammettiamo ci sia qualcosa più preziosa della lealtà, se non miriamo ai beni supremi.
Cioa Giada, Yole, e complimenti Didascalos!