Passo originale:
Expecto epistulas tuas quibus mihi indices circuitus Siciliae totius quid tibi novi ostenderit, et omnia de ipsa Charybdi certiora. Nam Scyllam saxum esse et quidem non terribile navigantibus optime scio: Charybdis an respondeat fabulis perscribi mihi desidero et, si forte observaveris (dignum est autem quod observes), fac nos certiores utrum uno tantum vento agatur in vertices an omnis tempestas aeque mare illud contorqueat, et an verum sit quidquid illo freti turbine abreptum est per multa milia trahi conditum et circa Tauromenitanum litus emergere. Si haec mihi perscripseris, tunc tibi audebo mandare ut in honorem meum Aetnam quoque ascendas, quam consumi et sensim subsidere ex hoc
colligunt quidam, quod aliquanto longius navigantibus solebat ostendi. Potest hoc accidere non quia montis altitudo descendit, sed quia ignis evanuit et minus vehemens ac largus effertur, ob eandem causam fumo quoque per diem segniore. Neutrum autem incredibile est, nec montem qui devoretur cotidie minui, nec manere eundem, quia non ipsum <ignis> exest sed in aliqua inferna valle conceptus exaestuat et aliis pascitur, in ipso monte non alimentum habet sed viam. In Lycia regio notissima est (Hephaestion incolae vocant), foratum pluribus locis solum, quod sine ullo nascentium damno ignis innoxius circumit. Laeta itaque regio est et herbida, nihil flammis adurentibus sed tantum vi remissa ac languida refulgentibus.
Sed reservemus ista, tunc quaesituri cum tu mihi scripseris quantum ab ipso ore montis nives absint, quas ne aestas quidem solvit; adeo tutae sunt ab igne vicino. Non est autem quod istam curam inputes mihi; morbo enim tuo daturus eras, etiam si nemo mandaret. Quid tibi do ne Aetnam describas in tuo carmine, ne hunc sollemnem omnibus poetis locum adtingas? Quem quominus Ovidius
tractaret, nihil obstitit quod iam Vergilius impleverat; ne Severum quidem Cornelium uterque deterruit. Omnibus praeterea feliciter hic locus se dedit, et qui praecesserant non praeripuisse mihi videntur quae dici poterant, sed aperuisse. [Sed] Multum interest utrum ad consumptam materiam an ad subactam accedas: crescit in dies, et inventuris inventa non obstant. Praeterea condicio
optima est ultimi: parata verba invenit, quae aliter instructa novam faciem habent. Nec illis manus inicit tamquam alienis; sunt enim publica. [Iurisconsulti negant quicquam publicum usu capi.] Aut ego te non novi aut Aetna tibi salivam movet; iam cupis grande aliquid et par prioribus scribere.
Plus enim sperare modestia tibi tua non permittit, quae tanta in te est ut videaris mihi retracturus ingenii tui vires, si vincendi periculum sit: tanta tibi priorum reverentia est.
Inter cetera hoc habet boni sapientia: nemo ab altero potest vinci nisi dum ascenditur. Cum ad summum perveneris, paria sunt; non est incremento locus, statur. Numquid sol magnitudini suae adicit? numquid ultra quam solet luna procedit? Maria non crescunt; mundus eundem habitum ac modum servat.Extollere se quae iustam magnitudinem implevere non possunt: quicumque fuerint
sapientes, pares erunt et aequales. Habebit unusquisque ex iis proprias dotes: alius erit affabilior, alius expeditior, alius promptior in eloquendo, alius facundior: illud de quo agitur, quod beatum facit, aequalest in omnibus. An Aetna tua possit sublabi et in se ruere, an hoc excelsum cacumen et conspicuum per vasti maris spatia detrahat adsidua vis ignium, nescio: virtutem non flamma,
non ruina inferius adducet; haec una maiestas deprimi nescit. Nec proferri ultra nec referri potest; sic huius, ut caelestium, stata magnitudo est. Ad hanc nos conemur educere.Iam multum operis effecti est; immo, si verum fateri volo, non multum. Nec enim bonitas est pessimis esse meliorem: quis oculis glorietur qui suspicetur diem? Cui sol per caliginem splendet, licet contentus interim sit
effugisse tenebras, adhuc non fruitur bono lucis. Tunc animus noster habebit quod gratuletur sibi cum emissus his tenebris in quibus volutatur non tenui visu clara prospexerit, sed totum diem admiserit et redditus caelo suo fuerit, cum receperit locum quem occupavit sorte nascendi. Sursum illum vocant initia sua; erit autem illic etiam antequam hac custodia exsolvatur, cum vitia
disiecerit purusque ac levis in cogitationes divinas emicuerit.
Aspetto tue lettere per sapere che cosa di nuovo hai visto nel tuo giro attraverso la Sicilia e tutto quello che c'è di vero su Cariddi. So bene che Scilla è una rupe non pericolosa per la navigazione. Ora desidero che tu mi scriva se è vero quello che la leggenda dice su Cariddi; e se ci hai posto attenzione - la cosa infatti merita attenzione -, informami se in quel tratto di mare i vortici sono provocati da un solo vento o da tutti ugualmente; e se veramente tutto ciò che viene inghiottito dai vortici è trasportato per molte miglia sott'acqua, per riemergere vicino alla spiaggia di Taormina. Se mi scriverai minutamente tutti questi particolari, oserò chiederti un altro favore: che tu, per farmi cosa gradita, salga sull'Etna. C'è chi dice che la montagna, poco alla volta, si vada consumando e abbassando; ciò sarebbe provato dal fatto che in passato i naviganti ne vedevano la vetta da assai maggiore distanza. Questa minore visibilità potrebbe derivare non dall'abbassarsi della montagna, ma dall'esaurirsi del fuoco: esso verrebbe fuori con minor violenza e in minor quantità, e per la stessa ragione, durante la giornata, il fumo sarebbe meno denso. Del resto, è ugualmente credibile che la montagna si abbassi, consumandosi giorno per giorno, o che rimanga la stessa, perché il fuoco non rode la montagna. Formandosi in qualche profondità sotterranea, ribolle e di li trae il suo alimento, non dalla montagna, che ne costituisce la via di uscita. Nella Licia c'è una regione famosa, chiamata dagli abitanti Efestione, dove il suolo è forato in più punti e dai fori vien fuori un fuoco innocuo, che non danneggia la vegetazione. t una regione fertile ed erbosa, perché le fiamme non bruciano nulla, ma emettono solamente una luce debole e scialba.
Ma mi riservo di chiarire tale questione quando avrò saputo dalla tua lettera a quale distanza dal cratere si stendono le nevi, che non si sciolgono neppure d'estate e non sono, perciò, soggette all'azione del vicino fuoco vulcanico. Tuttavia non devi mettere a mio carico la fatica dell'ascensione. Anche se nessuno te l'avesse chiesta, l'avresti fatta per tua curiosità: c'è da scommettere che ti accingi a descrivere nel tuo poema l'Etna e a toccare un tema che attira tutti i poeti. Il fatto che lo avesse già svolto Virgilio non impedi che lo trattasse Ovidio, e poi anche Cornelio Severo'. Inoltre, quest'argomento ha portato fortuna a tutti, e quelli che l'hanno trattato per primi, a mio

, non si sono accaparrate le cose da dire in proposito, ma hanno aperto la strada agli altri. C'è molta differenza fra un soggetto ormai esaurito e un soggetto che altri hanno preparato: quest'ultimo si arricchisce col passar del tempo e ciò che è stato detto non è di ostacolo a chi troverà nuovi particolari. D'altra parte, la condizione migliore è quella dello scrittore ultimo arrivato: trova già pronte quelle espressioni fondamentali dell'argomento che, disposte diversamente, acquistano un nuovo aspetto. Né egli se ne appropria indebitamente; sono ormai di dominio pubblico., o io non ti conosco, o l'Etna ti fa già venire l'acquolina in bocca: tu desideri scrivere qualche grande opera uguale alle precedenti. Sperare di più non si concilierebbe con la tua modestia, che è così grande che rinunzieresti, penso, a valerti delle forze del tuo ingegno se corressi il pericolo di superare gli altri: tanto è il rispetto che hai verso gli antichi poeti.
La saggezza, oltre al resto, ha questo vantaggio: nessuno dei suoi adepti può essere vinto dall'altra se non durante l'ascesa. Quando si è giunti in vetta, non ci sono più differenze; non si può salire di più: si sta fermi. Forse che il sole può aumentare la sua grandezza? E la luna può ingrandire il suo disco? I mari non si accrescono: l'universo conserva sempre gli stessi contorni e le stesse dimensioni. Le cose, quando hanno raggiunto le proporzioni stabilite dalla natura, non possono divenire più grandi. Così tutti coloro che sono arrivati alla saggezza saranno uguali fra loro. Ciascuno avrà le sue proprie qualità: uno sarà più affabile; un altro più operoso; uno parlerà con più prontezza; un altro con più eloquenza; ma la virtù di cui discutiamo, e che li fa felici, è uguale per tutti. Non so se il tuo Etna possa scivolar giù e crollare; o se questa eccelsa vetta, visibile per ampio tratto dal mare, possa sprofondare per l'azione continua del fuoco; ma per quanto riguarda la virtù, né la fiamma, né un crollo precipitoso può trascinarla in basso. E' il solo valore che non conosca abbassamento: essa non può essere portata né più avanti né più indietro. La sua grandezza, come quella dei corpi celesti, è stabile. Cerchiamo di elevarci fino ad essa. Già molto s'è fatto; anzi, ad essere sinceri, non molto. Non significa infatti, essere buoni se si vale di più dei peggiori. Chi potrebbe gloriarsi della sua vista sol perché intravede appena la luce del giorno? Colui che vede confusamente il sole attraverso la nebbia, anche se sarà contento di essere sfuggito alla completa oscurità, ancora non gode del beneficio della luce. L'anima nostra potrà congratularsi con se stessa quando, venuta fuori da queste tenebre in cui è avvolta, non con vista appannata guarderà la luce, ma l'abbraccerà in tutto il suo splendore e sarà restituita al suo cielo; quando riprenderà il posto a lei assegnato fin dalla nascita. La sua origine la chiama in alto: ma vi salirà anche prima di liberarsi dalla prigione corporea se saprà dissolvere e vizi e sollevarsi, pura e lieve, ad eccelsi pensieri.