L'AMICIZIA (SENECA) traduzione letterale versione latino

Messaggioda taxed » 5 nov 2011, 9:06

x favore mi servirebbe questa versione di latino:
titolo: L'AMICIZIA (Seneca)
inizio quid est quare ego ulla verba coram amico meo retraham? quid est quare me coram illo non putem solum?
fine: cum rerum natura delibera: illa dicet tibi et diem fecisse se et noctem

grazie

taxed

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Messaggioda giada » 5 nov 2011, 9:41

Quid est quare ego ulla verba coram amico meo retraham? quid est quare me coram illo non putem solum? [4] Quidam quae tantum amicis committenda sunt obviis narrant, et in quaslibet aures quidquid illos urit exonerant; quidam rursus etiam carissimorum conscientiam reformidant et, si possent, ne sibi quidem credituri interius premunt omne secretum. Neutrum faciendum est; utrumque enim vitium est, et omnibus credere et nulli, sed alterum honestius dixerim vitium, alterum tutius. [5] Sic utrosque reprehendas, et eos qui semper inquieti sunt, et eos qui semper quiescunt. Nam illa tumultu gaudens non est industria sed exagitatae mentis concursatio, et haec non est quies quae motum omnem molestiam iudicat, sed dissolutio et languor. [6] Itaque hoc quod apud Pomponium legi animo mandabitur: 'quidam adeo in latebras refugerunt ut putent in turbido esse quidquid in luce est'. Inter se ista miscenda sunt: et quiescenti agendum et agenti quiescendum est. Cum rerum natura delibera: illa dicet tibi et diem fecisse se et noctem.

Perchè non dovrei dire tutto quello che penso in presenza di un amico? perchè davanti a lui non dovrei sentirmi a mio agio come quando sono solo? c'è chi usa narrare al primo che incontra ciò che si può confidare solo all'amico e riversa in qualunque orecchio il peso dei suoi affanni, c'è chi al contrario ha paura che anche la persona più cara venga a conoscenza dei suoi segreti e li soffoca nel suo intimo per tenerli nascosti., se fosse possibile, anche a se stesso. Bisogna evitare l'uno e l'altro eccesso è male sia il fidarsi di tutti sia di nessuno ma direi che è il primo difetto è più onesto il secondo più sicuro. Sono ugualmente da biasimare e quelli che sono sempre inquieti e quelli che sempre rimangono apatici. Infatti il continuo agitarsi di una vita tumultuosa non è sana operosità ma irrequietezza di una mente esaltata e il considerare molesta ogni attività non è vera quiete ma sintomo di inettitudine. Tu Terrai dunque bene in mente questo pensiero di Pompionio "vi è chi vive così chiuso nel suo guscio da vedere un oscuro pericolo in tutto ciò che sta alla luce del sole" Occorre saper conciliare le due condizioni di vita l'uomo che vive nella quiete sia più operoso e l'uomo d'azione trovi il tempo per riposare. Tu segui l'esempio che ti da madre natura essa ha fatto sia il giorno che la notte.

giada

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