De Beneficis II, 17. Seneca.

Ab Antigono cynicus petiit talentum. Respondit "plus esse, quam quod cynicus petere deberet". Repulsus petit denarium. Respondit "minus esse, quam quod regem deceret dare". Turpissima est eiusmodi cavillatio.Invenit quomodo neutrum daret ; in denario regem, in talento cynicum respexit : quum posset et denarium tanquam cynico dare, et talentum tanquam rex. Ut sit aliquid maius, quam quod cynicus accipiat, nihil tam exiguum est, quod non honeste regis humanitas tribuat.
Si me interrogas, probo : est enim intolerabilis res, poscere nummos, et contemnere. Indixisti pecuniae odium; hoc professus es; hanc personam induisti: agenda est. Iniquissimum est, te pecuniam sub gloria egestatis acquirere. Adspicienda ergo non minus sua cuique persona est, quam eius, de quo iuvando quis cogitat.

Un cinico chiese ad Antigono un talento. Rispose “vale più di quanto ciò che un cinico dovrebbe chiedere.” Respinto chiese un denario. Rispose “vale meno di quanto ciò che si addirebbe ad un re dare”. È molto disonesta una sofisticheria di questo genere. Trovò in che modo non desse né l’uno né l’altro; rivolse l’attenzione il re sul denario, sul talento il cinico: dal momento che avrebbe potuto dare il denario come a cinico e il talento come re. Come se sia qualcosa più grande che quello che il cinico riceva, nulla è tanto esiguo, dal momento che la benevolenza del re non si attribuisca con decoro. Se mi domandi, approvo: infatti è una cosa intollerabile, domandare denari e disprezzare; tu hai reso noto il disprezzo del denaro; tu hai professato questo; tu hai indossato questa veste: si deve adempiere. È una cosa molto ingiusta, che ti procuri denaro sotto la gloria dell’indigenza. Bisogna scorgere dunque non meno la propria veste che uno ha, quanto di quello chi ha intenzione a chi soccorrere.

Ciao, Grazie!