da stuurm » 26 nov 2011, 22:35
Libenter ex his, qui a te veniunt, cognovi familiariter te cum servis tuis vivere: hoc prudentiam tuam, hoc eruditionem decet. “ Seni sunt”. Immo homines. “ Servi sunt”. Immo contubernales. “Servi sunt” Immo humiles amici. “ Servi sunt ”. Immo conservi, si cogitaveris tantundem in utrosque licere fortunae. Itaque riideo istos, qui turpe existimant cum servo suo cenare: quare, nisi quia superbissima consuetudo cenanti domino stantium servorum turbam circumdedit? Est ille plus quam capit, et ingenti aviditate onerat distentum ventrem ac desuetum iam ventris officio, ut maiore opera omnia egerat quam ingessit: at infelicibus servis movere labra ne in hoc quidem, ut loquantur, licet. Virga murmur omne compescitur, et ne fortuita quidem verberibus excepta sunt, tussis, sternumenta, singultus: magno malo ulla voce interpellatum silentium luitur; nocte tota ieiuni mutique perstant. Sic fit, ut isti de domino loquantur, quibus coram domino loqui non licet. At ii, quibus non tantum coram dominis, sed cum ipsis erat sermo, quorum os non consuebatur, parati erant pro domino porrigere cervicem, periculum imminens in caput suum avertere: in conviviis loquebantur, sed in tormentis tacebant. Deinde eiusdem adrogantiae proverbium iactatur, totidem hostes esse quot servos. Non habemus illos hostes, sed facimus.
Ho saputo di buon grado, da quelli che vengono da te, che tu vivi amichevolmente con i tuoi servi: questo si confà alla tua saggezza e alla tua educazione. “Sono schiavi”. No, uomini. “Sono schiavi”. No, compagni di alloggio. “Sono schiavi”. No, umili amici. “Sono schiavi”. No, compagni di schiavitù, se avrai considerato che al destino è permesso altrettanto verso gli uni e gli altri. Perciò rido di costoro che credono cosa vergognosa pranzare in compagnia del proprio servo: per quale motivo, se non perché l’ usanza molto arrogante ha posto intorno al padrone che pranza uno stuolo di servi che stanno dritti? Quegli mangia più di quanto è capace, e con grande avidità rimpinza lo stomaco pieno e disabituato alla sua funzione, tanto che vomita tutti i cibi con maggiore sforzo di quanto li ha ingerito: ma agli sfortunati servi non è permesso di muovere le labbra e neppure in questo per parlare. Ogni brontolìo viene frenato col bastone e neppure quelli fortuiti, la tosse, gli sternuti, il singhiozzo, sono risparmiati dalle percosse: l’interruzione del silenzio, dovuta ad una semplice parola, la si sconta con una grave pena; restano fermi muti e digiuni per tutta la notte. Così accade che, codesti ai quali non è permesso parlare davanti al padrone, mormorano del padrone. Invece quelli a cui era permesso parlare non solo davanti ai padroni, ma anche con loro in persona, la cui bocca non era abituata, erano pronti ad offrire il collo in favore del padrone, sottrare il pericolo che incombeva sul proprio capo: parlavano durante i banchetti, ma tacevano durante le pene. Quindi si ha sempre sulla bocca il proverbio della medesima arroganza che è tanti nemici quanti schiavi. Non abbiamo quelli nemici, ma li rendiamo (tali).
Ti avevo postato un'altra versione di Seneca " De beneficis II, 17. mi hai scritto hai guadagnato un credito, ma erano nove e sono rimasti tali; ora però non credi che possa averlo guadagnato? Ciao e scusa eh!