da creso e delfi » 2 mar 2012, 16:22
Quod idem Scipioni videbatur, qui quidem, quasi praesagiret, perpaucis ante mortem diebus, cum et Philus et Manilius adesset et alii plures, tuque etiam, Scaevola, mecum venisses, triduum disseruit de re publica; cuius disputationis fuit extremum fere de immortalitate animorum, quae se in quiete per visum ex Africano audisse dicebat. Id si ita est, ut optimi cuiusque animus in morte facillime evolet tamquam e custodia vinclisque corporis, cui censemus cursum ad deos faciliorem fuisse quam Scipioni? Quocirca maerere hoc eius eventu vereor ne invidi magis quam amici sit. Sin autem illa veriora, ut idem interitus sit animorum et corporum nec ullus sensus maneat, ut nihil boni est in morte, sic certe nihil mali; sensu enim amisso fit idem, quasi natus non esset omnino, quem tamen esse natum et nos gaudemus et haec civitas dum erit laetabitur.
E la medesima cosa sembrava a Scipione, il quale, quasi ne avesse il presentimento, pochissimi giorni prima di morire, essendo presenti Filo e Manio Manilio e parecchi altri, ed anche tu Scevola essendo venuto con me, discusse per tre giorni intorno allo stato, e di questa discussione la parte finale fu essenzialmente intorno alla immortalità dell'anima, cose che egli diceva di aver udito dall'Africano nella quiete del sonno, in una visione. E se è così, che l'anima d'uno quanto più è buono tanto più facilmente vola via come dalla prigione e dalle catene del corpo, a chi pensiamo sia stato più facile salire agli dei che a Scipione? Perciò soffrire per la sua sorte io temo che sia più di un invidioso che di un amico. Se invece questo è più vero, che l'anima finisce insieme col corpo e nessuna sensibilità più rimane, come nulla di bene v'è nella morte, così nulla di male: perduta, infatti, la capacità di sentire, è lo stesso che se non fosse affatto nato quello Scipione che noi siamo ben lieti che sia nato; e questa città, finché esisterà, se ne rallegrerà sempre.