da giadadancer » 28 mag 2012, 10:23
Properzio VI del III libro
Dic mihi de nostra quae sensti vera puella: sic tibi sint dominae, Lygdame, dempta iuga.omnis enim debet sine vano nuntius esse, maioremque metu servus habere fidem. nunc mihi, si qua tenes, ab origine dicere prima incipe: suspensis auribus ista bibam. num me laetitia tumefactum fallis inani,
haec referens, quae me credere velle putas? sicin eram incomptis vidisti flere capillis? illius ex oculis multa cadebat aqua? nec speculum in strato vidisti, Lygdame, lecto, scriniaque ad lecti clausa iacere pedes, ac maestam teneris vestem pendere lacertis? ornabat niveas nullane gemma manus? tristis erat domus, et tristes sua pensa ministrae carpebant, medio nebat et ipsa loco, numidaque impressa siccabat lumina lana, rettulit et querulo iurgia nostra sono? 'haec te teste mihi promissast, Lygdame, merces? est poena et servo rumpere teste fidem. ille potest nullo miseram me linquere facto, et qualem nolo dicere habere domi? gaudet me vacuo solam tabescere lecto? si placet, insultet, Lygdame, morte mea. non me moribus illa, sed herbis improba vicit staminea rhombi ducitur ille rota. illum turgentis sanie portenta rubetae et lecta exsuctis anguibus ossa trahunt, et strigis inventae per busta iacentia plumae, cinctaque funesto lanea vitta toro. si non vana canunt mea somnia, Lygdame, testor, poena erit ante meos sera sed ampla pedes; putris et in vacuo texetur aranea lecto: noctibus illorum dormiet ipsa Venus.' quae tibi si veris animis est questa puella, hac eadem rursus, Lygdame, curre via, et mea cum multis lacrimis mandata reporta, iram, non fraudes esse in amore meo, me quoque consimili impositum torquerier igni: iurabo bis sex integer esse dies. quod mihi si e tanto felix concordia bello exstiterit, per me, Lygdame, liber eris
Dimmi schiettamente ciò che sai della nostra fanciulla, o Ligdamo, così ti possa essere tolto il giogo ddella padrona. Forse tu mi inganni, riempiendomi di falsa gioia, e mi riferisci tutto ciò che pensi mi faccia piacere credere? Ma ogni messaggero deve astenersi dalle menzogne, e un servo, che teme deve avere maggiore lealtà. Ora comincia a riferirmi tutto quello che sai dalla prima origine: i ascolterò ansiosamente con le orecchie tese. E così l’hai vista piangere con i capelli sconvolti? Molte lacrime cadevano Di suoi occhi? E non hai visto, Ligdamo, lo specchi sul letto già preparato? Nessuna gemma ornava le sue nivee mani? Mesta forse pendeva dalle tenere spalle la veste e la borsetta giaceva chiusa ai piedi del letto? La casa era triste e tristi le ancelle traevano la lana dal pennecchio, e in mezzo a loro lei filava e si asciugava gli occhi umidi premendoli contro la lana, e ricordò con voce querula le nostre liti? “Questo è il premio promessomi- tu mi sei testimone Ligdamo -,da lui? E’ penoso rompere la fede, pur avendo come testimone uno schiavo. Egli può lasciarmi, misera, senza che io abbia mai commesso nulla, e starsene in casa con una che non voglio nominare? Gode che io strugga sola sul letto vuoto. Se gli piace, o Ligdamo, insulti pure la mia morte! Oh, quella non mi ha vinta di certo coi costumi, ma malvagiamente con le erbe; egli è condotto a lei dai fili avvolti alla ruota di un rombo. Lo trascinano i prodigi di una grossa rana rubeta e le ossa raccolte di serpenti squadrati e le piume di strige trovate tra le tombe abbandonate, e una cintura di lana avvolta intorno al letto funebre. Ma se i miei sogni non predicono il falso, ti giuro, Ligdamo: con una pena tarda ma grande cadrà davanti ai miei piedi; e sul letto vuoto tesserà la sua tela di putrido ragno: e nelle loro notti la stessa Venere dormirà”. Se così con animo sincero si è lamentata la mia fanciulla corri di nuovo, o Ligdamo, per questa stessa via, e insieme con molte lacrime riferiscile queste mie parole: che l’ira, non l’inganno è nel mio cuore, che anche io mi struggo sottoposto allo stesso fuoco; giurerò che da dodici giorni sono casto. Che se poi nascerà un felice accordo da una così grande guerra allora, o Ligdamo, tu per me sarai libero.