Cicerone-Epistulae-Ad Familiares XIV 4

Messaggioda ulisserusso » 21 ott 2012, 13:16

V. Scr. Brundisii prid. Kalendas Maias a.u.c. 696.
TULLIUS S. D. TERENTIAE ET TULLIAE ET CICERONI SUIS.

Ego minus saepe do ad vos litteras, quam possum, propterea quod cum omnia mihi tempora sunt misera, tum vero, cum aut scribo ad vos aut vestras lego, conficior lacrimis sic, ut ferre non possim. Quod utinam minus vitae cupidi fuissemus! certe nihil aut non multum in vita mali vidissemus. Quod si nos ad aliquam alicuius commodi aliquando recuperandi spem fortuna reservavit, minus est erratum a nobis; si haec mala fixa sunt, ego vero te quam primum, mea vita, cupio videre et in tuo complexu emori, quoniam neque di, quos tu castissime coluisti, neque homines, quibus ego semper servivi, nobis gratiam rettulerunt. Nos Brundisii apud M. Laenium Flaccum dies XIII fuimus, virum optimum, qui periculum fortunarum et capitis sui prae mea salute neglexit neque legis improbissimae poena deductus est, quo minus hospitii et amicitiae ius officiumque praestaret: huic utinam aliquando gratiam referre possimus! habebimus quidem semper. Brundisio profecti sumus a. d. II K. Mai.: per Macedoniam Cyzicum petebamus. O me perditum! O afflictum! Quid enim? Rogem te, ut venias? Mulierem aegram, et corpore et animo confectam. Non rogem? Sine te igitur sim? Opinor, sic agam: si est spes nostri reditus, eam confirmes et rem adiuves; sin, ut ego metuo, transactum est, quoquo modo potes ad me fac venias. Unum hoc scito: si te habebo, non mihi videbor plane perisse. Sed quid Tulliola mea fiet? iam id vos videte: mihi deest consilium. Sed certe, quoquo modo se res habebit, illius misellae et matrimonio et famae serviendum est. Quid? Cicero meus quid aget? iste vero sit in sinu semper et complexu meo. Non queo plura iam scribere: impedit maeror. Tu quid egeris, nescio: utrum aliquid teneas an, quod metuo, plane sis spoliata. Pisonem, ut scribis, spero fore semper nostrum. De familia liberanda nihil est quod te moveat: primum tuis ita promissum est, te facturam esse, ut quisque esset meritus; est autem in officio adhuc Orpheus, praeterea magno opere nemo; ceterorum servorum ea causa est, ut, si res a nobis abisset, liberti nostri essent, si obtinere potuissent, sin ad nos pertineret, servirent praeterquam oppido pauci. Sed haec minora sunt. Tu quod me hortaris, ut animo sim magno et spem habeam recuperandae salutis, id velim sit eiusmodi, ut recte sperare possimus. Nunc miser quando tuas iam litteras accipiam? quis ad me perferet? quas ego exspectassem Brundisii, si esset licitum per nautas, qui tempestatem praetermittere noluerunt. Quod reliquum est, sustenta te, mea Terentia, ut potes. Honestissime viximus, floruimus: non vitium nostrum, sed virtus nostra nos afflixit; peccatum est nullum, nisi quod non una animam cum ornamentis amisimus; sed, si hoc fuit liberis nostris gratius, nos vivere, cetera, quamquam ferenda non sunt, feramus. Atqui ego, qui te confirmo, ipse me non possum. Clodium Philetaerum, quod valetudine oculorum impediebatur, hominem fidelem, remisi. Sallustius officio vincit omnes. Pescennius est perbenevolus nobis, quem semper spero tui fore observantem. Sicca dixerat se mecum fore, sed Brundisio discessit. Cura, quoad potes, ut valeas et sic existimes, me vehementius tua miseria quam mea commoveri. Mea Terentia, fidissima atque optima uxor, et mea carissima filiola et spes reliqua nostra, Cicero, valete. Pr. K. Mai. Brundisio.
TULLIO A TERENZIA E INSIEME Al FIGLI TULLIOLA
E CICERONE
Ad familiares 14, 4
Spedisco lettere per voi il meno possibile, perché se non c'è momento per me che non sia triste, quando poi o scrivo a voi o leggo lettere vostre sono travolto dalla commozione, al punto da non farcela più. Ah, se fossi stato meno avido di vivere! Certo nel corso della mia vita non avrei visto alcuna sventura, o almeno non molte... Pure, se il destino mi riserba una qualche speranza di recuperare un giorno qualcosa del mio stato felice, allora il mio errore non sarà stato irreparabile; ma se queste sciagure sono stabilite per sempre, io non desidero, vita mia, che rivederti al più pre sto e morire fra le tue braccia, giacche ne gli dei, che tu hai sempre religiosamente venerato, ne gli uomini, per i quali io mi sono sempre adoperato, ci hanno ricompensato.
Sono rimasto tredici giorni a Brindisi presso M. Lenio Flacco, persona degnissima, che di fronte al problema della mia sicurezza ha trascurato il rischio che correvano il suo patrimonio e la sua stessa vita; né le sanzioni previste da una legge quanto mai iniqua l'hanno distolto dal prestare i diritti e le liberalità dell'ospitalità e dell'amicizia. Cosi potessi un giorno dimostrargli la mia gratitudine! Che ne avrò per lui eterna. Da Brindisi parto oggi stesso, con destinazione Cizico attraverso la Macedonia. Nella mia rovina e nella mia afflizione (ah, quali!) come potrei ora chiedere a te di venire, donna inferma e affranta nel corpo e nello spirito? D'altronde come non chiedertelo? E allora restare senza di te? Io questo posso decidere: se c'è una speranza nel il mio ritorno, collabora a che sia consolidata; se invece, come temo, tutto e irreversibilmente concluso, in qualunque modo potrai cerca di venire da me. Sappi questo soltanto: se ti avrò con me non mi parrà di essere del tutto desolato. Ma che sarà della mia Tulliola? Oramai spetta a voi provvedere, io non ho più che pensare. Qualunque sia il futuro sviluppo degli eventi, e ben certo che abbiamo degli obblighi nei confronti del matrimonio e della reputazione di quella povera infelice. E ancora, che farà il mio ragazzo? E lui che io dovrei sempre seguire più da vicino. Non riesco a scrivere altro, la tristezza me lo impedisce. Non so che sarà di te, se potrai mantenere qualcosa, o se, come temo, sarai spogliata di tutto. Pisone, come scrivi, spero che sarà sempre fedele a noi. Per l'affrancamento dei servi non hai di che preoccuparti. Prima di tutto, ai tuoi hai promesso che ti saresti comportata secondo i meriti di ciascuno. E poi Orfeo e ancora in servizio; a parte lui, non ce ne sono mica tanti altri. Circa i rimanenti schiavi la prospettiva e la seguente: in caso di confisca integrale dei miei beni, sarebbero miei liberti, purché l'a vessero potuto ottenere; se invece rimanessero di mia proprietà continuerebbero il servizio, con qualche calcolata eccezione per qualcuno. Ma questi sono problemi secondari.
Quanto alle tue esortazioni a farmi forza e a mantenere viva la speranza di un recupero della mia dignità personale, vorrei proprio che ci fossero le condizioni per poter sperare con qualche fondamento. Per adesso, quando potrò, infelice, ricevere più tue lettere? Chi me le recapiterà? Ne avrei aspettate a Brindisi, se l'equipaggio me l'avesse consentito, ma non hanno voluto perdere l'occasione favorevole per salpare. Per il resto, Terenzia mia, mantieniti come potrai conforme ai principi dell'onore. Ho vissuto, ho avuto il mio momento felice: non i miei vizi, ma le mie virtù mi hanno cagionato la presente afflizione. Non ho nulla da rimproverarmi, tranne di non aver perduto insieme con le mie prerogative l'esistenza stessa. Ma se i figli nostri hanno preferito che io seguitassi a vivere, va sopportato tutto il resto, anche se sopportabile non è! Pure, io che incoraggio te non so incoraggiare me stesso. Ho congedato Clodio Filetero, mio fido compagno, perché aveva delle difficoltà per un malanno agli occhi; Sallustio baste tutti per l'assiduità delle sue premure. Pescennio è affettuosissimo con me, e spero si manterrà sempre pieno di riguardi anche con te. Sicca aveva detto che sarebbe stato al mio fianco, ma a Brindisi se ne è andato. Cura la salute con tutte le tue forze e pensa che sono sconvolto più dalla tua che dalla mia infelicità. Terenzia mia, moglie carissima e fedelissima, e figliola mia amatissima, e Cicerone ultima mia speranza, addio a tutti.
Brindisi, 30 aprile.

ulisserusso

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Messaggioda giada » 22 ott 2012, 8:29

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