x curiosità..

Messaggioda ginevrina » 20 ago 2008, 12:44

non so se è possibile ma provo a chiedere lo stesso.. qualcuno ha gia fatto la scheda libro del romanzo : il signore delle mosche..di william golding_ oppure dei libro: acropolis ..di valerio massimo mangredi...
grazie

ginevrina

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Messaggioda Shady » 20 ago 2008, 13:08

Il signore delle mosche

É in corso un conflitto mondiale, un gruppo di ragazzini inglesi dai sei ai dodici anni stanno per essere portati in salvo in un luogo sicuro da un aereo. Sull’ Oceano Pacifico questo aereo viene abbattuto da un forte uragano e i ragazzi sopravvissuti si trovano da soli, senza adulti, in una magnifica isola sperduta abitata solamente da maiali selvatici.
I personaggi principali del romanzo sono i più grandi, i quali dovranno organizzare la loro sopravivenza e quella dei più piccoli.
Il gruppo di ragazzi è del tutto libero dall’autorità degli adulti, ma sentono comunque il dovere morale di conservare la loro dignità di una società civilizzata: infatti lanceranno un S.O.S. (il fuoco sulla montagna) con la speranza di salvarsi con il primo aereo di passaggio.
Purtroppo però le regole datasi (tenere il fuoco acceso, convocare ogni giorno l’assemblea, costruire le capanne per dormire e andare a caccia) si riveleranno un fallimento portandoli a comportasi come selvaggi ed uccidersi fra di loro, così trasformando quella che doveva essere libertà e avventura in una anarchia distruttiva dominata da odio, rivalità e terrore.
Il romanzo si conclude con l’arrivo di una nave sull’ isola e con il pianto di tutti i ragazzi, un pianto di commozione, gioia e disperazione.


2. TEMI
Il primo tema che vuole evidenziare Golding è che l’uomo non può vivere senza regole, senza qualcuno che lo controlla, altrimenti agirebbe solo per istinto, soprattutto i ragazzi. Questo, lo scrittore, lo ha potuto dimostrare grazie alla sua esperienza di insegnamento alla scuola elementare: un giorno è entrato in classe ed ha creato un piccolo dibattito fra i ragazzi su un argomento di loro interesse; inizialmente egli stesso governava questa assemblea, poi ha provato ad uscire dalla classe e poco dopo si è accesa una violenta rissa fra gli alunni.
Infatti Il signore delle mosche è un romanzo, oltre che di formazione (perché si assiste alla crescita dei “grandi”), psicologico e verosimile, in cui Golding descrive il comportamento del gruppo di bambini e adolescenti in un’ isola deserta senza adulti, quindi indipendenti da ogni controllo; infatti questa falsa autogestione si trasforma in una serie di omicidi.
Un altro tema che affronta Golding riguarda il male degli uomini: l’uomo ovunque cede alla tentazione, come c’è scritto nella prima pagina del libro “l’uomo produce il male come le api producono il miele”, ne Il signore delle mosche i ragazzi non hanno scampo, poiché nell’isola vi è la crudeltà dei cacciatori, mentre quando i ragazzi vengono salvati torneranno in un paese colpito dalla crudeltà della guerra. Infatti il tema principale de Il signore delle mosche e degli altri romanzi che ne seguiranno è “il peccato originale, l’istintiva ferocia umana –che si manifesta soprattutto nelle dinamiche di gruppo- e il mare, tutti argomenti cari alla letteratura inglese.” (“Per conoscere meglio William Golding”; pag. 276)
Il dramma, però, è che l’uomo ha pochissime possibilità di sconfiggere il male, perché per Golding il nostro nemico è anche dentro di noi: il colloquio che ha con Il signore delle mosche Simone, un dialogo immaginario con se stesso.

Perché “Il signore delle mosche?”
Il titolo del romanzo a prima vista sembra poco significativo riguardo la storia, invece racchiude il principale significato del libro.
Questo titolo “scaturito dall’esperienza emblematica…”dell’assemblea fra gli alunni “…-Signore delle mosche è uno degli appellativi di satana- viene suggerito da T. S. Eliot, dirigente in quegli anni della Faber&Faber, editrice inglese del libro.” (“Per conoscere meglio William Golding”; pag. 275)
Infatti il male descritto prima nei temi è presente in ogni ragazzo, anche in Ralph e Piggy, i quali riescono a respingerne parte, ma soprattutto dentro Simone, il ragazzo che sta ad osservare la testa di maiale coperta di mosche ficcata su un bastone immaginando un colloquio tra lui e quella testa ghignante, cioè Satana; ed è proprio il diavolo che gioca i ragazzi con il tranello della bestia-paracadutista e gli spinge ad uccidere per una sciocca superstizione. I cacciatori, sempre presi in giro dal demonio, credono di placare la “bestia”, ma in realtà facendo così diventano loro la vera “bestia”.


3. PERSONAGGI
I primi due personaggi descritti dall’autore sono Ralph e Piggy, i quali, oltre ad essere due dei più grandi, faranno parte dei protagonisti positivi del racconto. Il secondo fungerà da consigliere e da saggio per il primo in tutto il romanzo, seppur molto diversi sotto l’aspetto fisico e antropologico: Ralph, alto, biondo e atletico ha tutto l’aspetto dell’autorità (infatti verrà eletto il capo dell’assemblea) ed è fiducioso di essere salvato da qualche aereo della marina militare, ma allo stesso tempo contento dell’ occasione offertagli dal disastro aereo; Piggy, grasso, basso, impacciato e asmatico, schernito dagli altri ragazzi, a volte anche dallo stesso Ralph, è dotato di grande scetticismo nei confronti degli altri e la sua intelligenza sarà molto utile per il suo amico.
Ralph non è il più “buono” del romanzo, ma il più moderato, infatti nella storia lui passa dall’adolescenza all’età adulta: all’inizio vediamo un Ralph bambino, eletto capo di un’ assemblea che non è capace di gestire, ha problemi a parlare (lo sportello che si apre e si chiude) ed assume un comportamento selvaggio; mentre alla fine vediamo un Ralph più ragionevole che respinge i precedenti comportamenti e desidera farsi una doccia e tagliarsi i capelli, quindi aspirante ad acquistare una certa dignità. Purtroppo però il ragazzo è simbolo del dramma umano descritto da Golding: egli tornerà in un paese segnato dalla guerra, quindi non migliore della tribù di Jack.
Piggy nel romanzo è la coscienza di Ralph: sarà lui a consigliarli di usare la conchiglia per richiamare i superstiti, la quale diventerà un segno di potere per chi la tiene in mano. Golding non risparmia neppure il ciccione, tutti sono vittime del male, o in un modo o nell’altro: il povero Piggy verrà ucciso da Ruggero, il braccio destro di Jack.
Il primo dei cattivi ad emergere è Jack Merridew, il quale dopo il suono della conchiglia arriva sulla piattaforma con il coro del collegio, del quale ne è capo.
Jack, alto, moro e militaresco, è già dall’inizi molto geloso del carisma di leader di Ralph, questa gelosia però lo porterà al delitto e alla ferocia.
Per prevalere su Ralph Jack deve attirare su di se l’attenzione di tutti e conquistare l’isola; così trasforma il suo coro in un tribù di cacciatori con le facce dipinte di creta e va a caccia di maiali selvatici, in modo da accontentare gli altri procurandogli la carne. Tutto ciò però implica a Jack e i suoi di uccidere un essere vivente: questo il motivo per cui nascondono i loro volti, perché hanno paura di loro stessi, vogliono essere un altro, un’ altra persona malvagia che pian piano prevale nel loro animo; continuando così i cacciatori agiranno solo per istinto fino al vero e proprio omicidio di Piggy e Simone.
Jack è simbolo del male prevalente sull’uomo, il male provocato da quelli stupidi risentimenti che sono la gelosia, l’ambizione e l’ odio. Alla fine del romanzo anche lui, come tutti, si renderà conto del male fatto: anche lui piangerà dalla disperazione alla vista dell’ufficiale della marina. Per ultima cosa su Jack, io mi sono chiesto perché nel romanzo Golding nomina tutti solo con il loro nome e l’antagonista con nome e cognome; questo perché Jack Merridew è un nome simbolico: Jack è il nome del famoso Squartatore di Londra, mentre Merridew significa “liete lacrime” (merry + dew, “rugiada”, che in senso figurato al singolare significa, appunto, “lacrime, pianto”).
Un personaggio importante del coro ne romanzo è Simone, uno dei grandi, epilettico, allegro e preso in giro dagli altri per la sua malattia (“è un po’ tocco”). Questi è uno dei “buoni”, “simbolo e vittima della duplice natura umana che è per Golding istintivamente malevola e culturalmente ragionevole.” (introduzione, pag. XI)
Simone è anche l’unico a temere la “bestia”, la “cosa-che-striscia”, infatti è il primo che si vventura nella foresta per scoprire la sua vera natura: un paracadutista morto impigliato negli alberi. La vera “bestia” è IL signore delle mosche, una specie di divinità, un totem, lasciata in mezzo alla foresta da Jack per placare la “cosa-che-striscia”, con la quale il ragazzo avrà un colloquio immaginario.
L’ultimo personaggio principale è Ruggero, uno dei “cattivi”. All’inizio dell’avventura sembra un ragazzo parziale e democratico, infatti è proprio lui a proporre di eleggere un capo che decida delle regole e convochi un’assemblea. Nel corso della storia anche lui cambia, come Ralph, ma dalla parte del male: diventerà crudele e spietato, il braccio destro del suo capo, Jack, quasi a sostituirlo e sarà l’artefice della morte del povero Piggy.
Gli altri personaggi del romanzo sono i più piccoli e i gemelli Summeric, i quali sono simbolo dei “buoni” che non riescono e non vogliono resistere ai cattivi, poiché essi diverranno parte della tribù di Jack costretti con la violenza.


4. GIUDIZIO
8, un romanzo bellissimo, un po’ troppo pessimista e drammatico, scorrevole e racchiude due storie: quella vera e propria dei ragazzi e quella nello sfondo del male che si prende gioco dei naufraghi.



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AKROPOLIS
di Valerio Massimo Manfredi


“Un osservatorio ideale, come l’acropoli, simbolo e sintesi della civiltà ateniese e della storia greca, centro spirituale della polis, fulcro della vita quotidiana e dei grandi eventi”. Questa frase, all’apparenza semplice ed a sé stante, sintetizza in realtà alla perfezione i numerosi contenuti di un viaggio ideale nell’antica Grecia, alla ricerca dei luoghi che sono stati teatri di gesta e leggende, che Valerio Massimo Manfredi racchiude nel titolo “Akropolis”. Sono infatti riscontrabili in tale frase molteplici riferimenti a questa narrazione che dal mito conduce fino alla progressiva affermazione di Atene quale potenza egemone del Mediterraneo:
1) organizzazione politica della polis (“…come l’acropoli, simbolo e sintesi della civiltà ateniese…”);
2) eventi storici generali e di piccola entità (“…della storia greca…”) o specifici e di grande importanza e rilevanza (“…dei grandi eventi”);
3) religione e mitologia (“…centro spirituale della polis…”);
4) rapporti civili e sociali all’interno della polis (“…fulcro della vita quotidiana…”).
Caratteristica fondante e ricorrente in tale saggio è sicuramente il dialogo tra Valerio Massimo Manfredi e Kostas Stavropoulos, signore greco che l’autore, nei panni di studente universitario in visita alle ricchezze artistiche della Grecia, conosce in modo casuale e del quale diviene grande amico. Questo forte rapporto di amicizia consente di mettere in evidenza i rapporti e gli scambi interculturali (con particolari riferimenti e ricorrenze al mondo greco) tra uomini di nazionalità diversa, aventi pertanto ideologie e correnti di pensiero non affini, come inevitabile conseguenza delle differenze intercorrenti tra i diversi ambiti geografici e politici in cui essi vivono quotidianamente. Inoltre tale rapporto costituisce un importante momento di riflessione che, oltre ad avere un fine puramente “logico-grammaticale” (volto a favorire quindi una migliore comprensione del testo), risalta le differenti concezioni, in particolare a livello “storico”, dei due personaggi: ciò permette di comprendere al meglio le loro opinioni e riflessioni e rappresenta un’ulteriore dimostrazione a quanto affermato precedentemente circa le differenti ideologie di Kostas Stavropoulos e di Valerio Massimo Manfredi. Particolarmente interessante in tale scambio culturale è l’evolversi della situazione di Kostas, il quale, in seguito alla morte della moglie Alexandra, “cade” progressivamente in una profonda crisi interiore (“Quando un uomo perde la propria compagna di vita dovrebbe morire”). Infatti è possibile constatare come, benché il difficile momento attraversato, il ricordo degli eventi che hanno reso grande la sua patria ed il sostegno di Valerio Massimo Manfredi, consenta a Kostas di evitare di cadere in una vera e propria crisi esistenziale dal quale non vi sarebbe stato ritorno.
Tra gli eventi il cui ricordo sostiene Kostas nel periodo di crisi vi sono sicuramente le due grandi guerre tra Greci e Persiani: in esse vengono infatti celebrati gli ideali eroici degli Ellenici, con particolari riferimenti a Fidippide ed a Leonida. Nel corso del primo conflitto contro i Persiani, la battaglia di Maratona risalta la figura del corridore Fidippide, il quale rinunciò alla propria vita per la salvezza della sua città, Atene, che ricorda il sacrificio del suo salvatore, ogni quattro anni, nelle Olimpiadi moderne, quando atleti di tutto il mondo gareggiano sulla stessa distanza da lui percorsa per ottenere l’ambito e prestigioso riconoscimento di corridori “maratoneti”. Nell’evolversi del secondo scontro tra Greci e Persiani emerge invece la figura di Leonida, il re spartano che, insieme a 300 soldati, immolò la propria vita nella battaglia delle Termopili pur di ritardare l’avanzata nemica. Il ricordo di tali imprese ravviva infatti in Kostas l’amore per la vita e gli permette di comprendere come, anche nelle situazioni più difficili, quando la sconfitta sembra inevitabile, bisogna continuare a lottare ed a non arrendersi. Tuttavia l’evento che maggiormente ha segnato l’esistenza di Kostas è da ricercarsi nella vita di Socrate. Legislatore greco, fu ingiustamente condannato e, pur nelle avversità, mantenne sempre viva la sua immagine di uomo politico saggio (“Sosteneva che il vero saggio è colui che sa di non sapere e che la vera sapienza sta nel conoscere sé stessi”), popolare e che non temeva la morte (“Quando la morte c’è, io non ci sono; quando io ci sono, la morte non c’è”). Un’esistenza difficile, paragonabile (in quanto a sorte avversa) a quella di Kostas, culminata e conclusa in parole che il mondo non avrebbe mai più dimenticato: “E adesso è ora di andare, voi verso la vita, io verso la morte. Chi di noi vada verso un destino migliore solo gli dei lo sanno”. Proprio in tali parole Kostas trova la forza necessaria per resistere, anche se non per reagire.
E’ interessante però evidenziare come, oltre ad una considerazione di natura etica-morale, sia riscontrabile in tale riflessione un particolare riferimento alla religione, soprattutto se rapportato con la figura di Socrate. Importante è infatti ricordare che egli non credeva nella religione comune e nelle divinità tradizionali, bensì basava la propria “esperienza religiosa” sull’esistenza di un dio sconosciuto, il misterioso Daimon, di cui nessuno aveva mai sentito nulla, che gli suggeriva come agire nelle diverse circostanze: questa differente concezione della religione determinò la sua condanna. Anche se personaggio storico di grande rilevanza, Socrate rappresenta un’eccezione; pertanto Valerio Massimo Manfredi concede una più ampia descrizione alla religione comune, con interessanti accenni a miti e leggende, da cui in seguito sono originate, ad esempio, espressioni piuttosto diffuse al giorno d’oggi nel linguaggio comune (i cosiddetti “modi di dire”), quali “filo d’Arianna” o “spada di Damocle”. La prima è legata al mito del Minotauro e di Teseo, figlio di Egeo, re di Creta; la seconda è invece collegata ad un particolare episodio in cui Dioniso il vecchio, tiranno di Siracusa, mostrò a Damocle, il suo prediletto, che lo giudicava un uomo felice, come vivesse un tiranno, facendogli sospendere sopra il capo, durante un banchetto, una spada legata ad un tenue filo, per la precisione un capello. In generale, quindi, le storie relative alla religione si adattavano ai cambiamenti della società ed alle esigenze della politica e dell’economia; erano pertanto in continua evoluzione e mutamento: i popoli antichi (i greci in particolare) non avevano infatti una teologia rigida e dogmi di fede. La religione greca annoverava miti e leggende diverse per finalità e per contenuti: tuttavia la religione antica era dominata soprattutto dall’ossessione riproduttiva e da qualunque forma di perdita di controllo, sia nella sessualità orgiastica sia nell’ebbrezza del vino, entrambe attribuite agli dei. Esempi di tale aspetto ricorrente della mitologia greca emerge dalle seguenti leggende: la nascita di Atena e la nascita del Minotauro. La dea Atena nacque senza l’intervento di un utero materno: era infatti nata direttamente dalla testa del padre Zeus, al quale aveva provocato una forte emicrania, cui Efesto aveva posto fine con un colpo di mazza. Tuttavia Efesto chiese un compenso per il suo intervento, chiedendo di prendere in moglie Atena. Zeus acconsentì; tale era l’eccitazione del dio che eiaculò solo per il contatto fisico con la fanciulla ed il suo seme cadde a terra. Siccome però, come afferma Omero, il seme di un dio non è mai senza frutto, la terra incubò una creatura e la diede alla luce. La nascita del Minotauro fu invece conseguenza dell’offesa di Minosse nei confronti di Poseidone. Quest’ultimo, per vendicarsi, aveva fatto uscire di senno la regina Parsifae, moglie di Minosse, e la aveva fatta innamorare di un toro. La passione della donna era giunta al punto di farsi costruire dal grande architetto Dedalo una vacca in tutto simile ad un animale vivo, per nascondervisi dentro e subire la monta del toro. Dalla loro unione perversa era nato il Minotauro e, essendo Dedalo in parte complice, egli dovette in qualche modo porre rimedio alle conseguenze. Costruì perciò il Labirinto in cui il Minotauro fu rinchiuso; poi vi fu anch’esso imprigionato insieme al figlio Icaro affinché non ne rivelasse ad alcuno il segreto. Dedalo, tuttavia, costruì con penne di uccello e cera due coppie di ali per sé e per suo figlio, con le quali presero il volo: Icaro volò però troppo in alto, disobbedendo agli ordini del padre, ed il calore del Sole sciolse la cera che teneva insieme le sue ali ed egli precipitò in mare.
Per concludere, è interessante notare come tra le varie tematiche analizzate dalle numerose leggende componenti la mitologia greca, raramente sono riscontrabili miti analizzanti l’ordinamento politico vigente nel periodo in cui nacquero. Tuttavia la storia della Grecia è caratterizzata da numerosi sconvolgimenti a livello politico: l’esempio maggiore di queste trasformazioni è rappresentato da Atene, dove furono sperimentate sia la tirannide, con Pisistrato ed i suoi figli (Ippia ed Ipparco), sia la democrazia (risultato delle legislature di Solone e Clistene). Particolarmente interessante è l’operato dei due legislatori più importanti nell’Atene del VII-VI a.C. : Solone e Clistene. Il primo abolì la schiavitù per debiti con effetto retroattivo ed in seguito promulgò una riforma timocratica, effettuando la divisione della società in base al reddito. Si ottennero così le seguenti classi sociali:
1) Pentacosiomedimni;
2) Hippeis o cavalieri;
3) Zeugiti;
4) Teti.
Una volta stabilita questa divisione su base censitaria, Solone decretò che solo i cittadini delle due classi superiori potessero accedere alle cariche pubbliche di governo; i componenti della terza classe avrebbero potuto accedere a cariche amministrative minori. Ai teti era invece preclusa qualunque carica pubblica, ma fu loro concesso di sedere nell’assemblea che eleggeva i magistrati ed anche nel tribunale popolare. La grande novità di questa riforma era la possibilità per i cittadini di passare ad una classe superiore quando il loro reddito aumentasse e di accedere così alla gestione della “cosa pubblica”: non c’era più una società immobile legata al diritto immutabile di sangue e di stirpe, ma una società dinamica in cui si riconosceva un merito ed un’assunzione di responsabilità a chi aveva saputo migliorare le proprie condizioni.
Clistene varò invece una riforma molto complessa agendo in primo luogo a livello territoriale: aggregò i villaggi ed i borghi dell’Attica in 30 circoscrizioni definite “distretti” (le cosiddette “trittie”). Esse furono successivamente distribuite fra dieci tribù, ciascuna delle quali comprendeva un distretto della costa (detto “paralia”), un distretto della pianura (detto “pedia”) ed un distretto della montagna (detto “diacria”). Il peso politico degli aristocratici ne risultò fortemente sminuito: in ogni tribù erano infatti raggruppati, in modo equilibrato, tutti i ceti sociali dell’Attica. Ogni singola tribù designava inoltre 50 consiglieri che andavano a comporre il “Consiglio dei 500”. Questo organismo, che sostituì il vecchio “Consiglio dei 400” creato da Solone, preparava i decreti da sottoporre all’assemblea, controllava l’operato dei magistrati e gestiva la politica estera. L’anno fu poi diviso in dieci sessioni, dette “pritanie”; ogni sessione era affidata a 50 consiglieri di una singola tribù: quindi tutte le tribù, in successione, operavano nel Consiglio tramite i loro rappresentanti. L’Assemblea popolare (definita “Ekklesia”) era composta da tutti i cittadini ateniesi ed era chiamata ad approvare, respingere o modificare le proposte del Consiglio. Eleggeva inoltre i dieci strateghi che comandavano l’esercito. La riforma di Clistene rese irreversibile il processo democratico e la tirannide vera e propria non fece mai più ritorno ad Atene.
La somma di tutti questi addendi (grandi eventi storici, religione, politica e vita sociale) portò alla progressiva affermazione di Atene come potenza egemone del Mediterraneo. In tale contesto emergono figure quali Zeus, Atena, Teseo, Dedalo, Pericle, Socrate, Fidia: dei ed eroi, ma soprattutto poeti, filosofi e condottieri che sono stati artefici di un’età irripetibile di tragedia, splendore e libertà. Sono infatti loro i protagonisti di una civiltà che costituisce da più di 2000 anni il modello di riferimento per tutto il mondo occidentale.

Shady

 

Messaggioda ginevrina » 20 ago 2008, 13:34

grazie millissime ely e grazie millissime shady!!!! davveroo gentilissime!

ginevrina

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