Sconfitta degli Ateniesi in Sicilia Giustino versione latino

[stuurm]

Post cladem acceptam Athenienses castra quoque cum omni publica ac privata pecunia amittunt. Tunc Demosthenes censere coepit, ut abirent(da abeo) e Sicilia, dum(finchè) res, quamvis afflictae, nondum tamen perditae forent, domi graviora et forsitan infeliciora bella esse. Nicias, seu pudore male actae rei, seu metu destitutae spei civium, seu fato, manere contendit. Reparatur igitur navale bellum et animi a prioris fortunae procella ad spem certaminis revocantur; sed inscitia ducum vincuntur; triginta naves incenduntur. Demosthenes et Nicias exercitum in terram deponunt, tutiorem fugam rati(ritenendo) itinere terrestri. Tum victor Gylippus fugientes partim capit, partim caedit. Demosthenes a captivitate gladio et voluntaria morte se vindicat. Nicias autem, ne Demosthenis quidem exemplo ut sibi(a sè) consuleret admonitus, cladem suorum auxit dedecore captivitatis.

Dopo la sconfitta subita gli Ateniesi perdono gli accampamenti assieme a tutto il patrimonio pubblico e privato. Allora Demostene cominciò a proporre che partissero dalla Sicilia, finché le cose, sebbene volte al peggio, tuttavia non ancora erano perdute, che forse le guerre più gravi e più funeste sono in patria. Nicia, se per la vergogna di una male operazione compiuta, se per paura della speranza delusa dei cittadini, se per destino, tende a rimanere. Si ripara dunque la nave da guerra, gli animi vengono richiamati dalla rovina di avversità precedente alla speranza di un combattimento; ma per imperizia dei condottieri vengono vinti. Vengono incendiate trenta navi. Demostene e Nicia sbarcano l’esercito ritenendo più sicura la fuga per via terra. Allora il vincitore Gilippo cattura parte dei fuggitivi, parte li uccide. Demostene si libera con la spada dalla prigionia e da una morte volontaria. Nicia poi, nemmeno avvisato dall’ esempio di venire in soccorso a se stesso, accrebbe la sconfitta dei suoi con il disonore della prigionia.

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