De Senectute di Cicerone

Messaggioda giggino904 » 28 feb 2012, 19:28

De Senectute

Cato Maior de senectute (Catone il Vecchio, sulla vecchiaia), o semplicemente De Senectute è un'opera filosofica scritta da Cicerone nel 44 a.C., ovvero poco prima della morte, e dedicata all'amico Attico.
Quest’opera,insieme al De Amicitia e al De Officis, fa parte della triade di opere filosofiche in cui è espresso la summa del pensiero ciceroniano, plasmata dalla consuetudine di una vita intera con le grandi correnti di etā ellenistica, l'epicureismo e l'Accademia platonica.
Composta di 23 capitoli, ha la forma di un dialogo che si immagina sia accaduto nell'anno 151, quando il personaggio che dà il titolo all'opera (famoso anche come Catone il Censore) aveva già 83 anni. Egli conversa con l'amico Gaio Lelio, assai più giovane, e con Publio Cornelio Scipione Emiliano.
Il dialogo è introdotto - dopo la dedica ad Attico - dalle parole di Scipione che esprimono la meraviglia sua e di Lelio per la serenità con la quale Catone vive la vecchiaia. Catone inizia così la sua pacata argomentazione: prende in esame le critiche comunemente rivolte alla vecchiaia e le confuta, con esempi tratti dalla storia greca e romana. Le accuse esaminate sono: la debolezza e decadenza fisica; l'attenuarsi delle capacità intellettive; l'impossibilità di godere dei piaceri dei sensi; la bizzarria del carattere e l'avarizia.
La conversazione approda con naturalezza al tema della morte e della paura che essa suscita. Catone, dopo aver osservato che la morte o è il nulla (e in tal caso nulla vi è da temere, secondo la concezione epicurea), o significa una vita migliore per chi è vissuto con rettitudine. Infine, riflette, è contrario all'esperienza accostare il pensiero della morte solo alla vecchiaia: tanti giovani vedono la loro età fiorente stroncata da una morte prematura.
Infine, Catone passa al tema dell'immortalità dell'anima. Richiama per sommi capi le dottrine pitagoriche e platoniche sull'anima; quindi espone altri argomenti a favore di tale dottrina. Conclude che è proprio degli spiriti nobili e saggi attendere la morte con animo sereno, costituendo così un esempio per la maggioranza degli uomini; augura infine agli amici di poter raggiungere l'età avanzata e quindi di provare per esperienza ciò che hanno appena appreso dalle sue parole.

Alcune frasi:
Cato Maior de Senectute (L’arte di invecchiare) di Marco Tullio Cicerone è un’operetta in cui parla quasi costantemente il vecchio Catone (Scipione Emiliano e Lelio gli altri due personaggi), che loda la vecchiaia e ribatte le accuse che vengono generalmente rivolte:

«E dunque, quando rifletto dentro di me, trovo quattro cause per cui la vecchiaia appare infelice: la prima è che distoglie dalla vita attiva, la seconda è che rende il corpo sempre più debole, la terza è che priva il vecchio di quasi tutti i piaceri, la quarta è che non è molto lontana dalla morte. Di queste cause, se volete, vediamo quanto ciascuna sia importante e quanto sia giusta» (pag.43)

Mantenendo il discorso sul tono di una serena conversazione, egli dibatte una ad una le quattro cause e nega che la vecchiaia e la morte debbano essere considerati un male, poiché…
«Rimane intatta ai vecchi l’intelligenza, a patto che rimangano fermi gli interessi e l’operosità, e questo non solo in uomini illustri e famosi, ma anche in chi ha avuto una vita riservata e quieta» (pag. 47)

e, comunque:
«Di ciò che abbiamo, solo di questo è lecito far uso, e qualunque cosa fai, falla secondo le tue forze» (pag. 49).

Nel De Senectute Cicerone delinea l’ideale di una vecchiezza operosa, dedita alla coltivazione della terra – bellissima la parte in cui descrive la magnificenza della natura – e dello spirito, nonché all’ammaestramento dei giovani.

Catone, in particolare, fa notare come i personaggi più illustri della storia della repubblica abbiano sopportato tali mali con grande forza d’animo e non li abbiano temuti.

Tuttavia l’appuntamento con la morte immancabilmente arriverà:
«Che c’è infatti di più stolto che prendere l’incerto per il certo, il falso per il vero? […] Quando infatti la fine arriva, allora ciò che è passato è sparito; rimane quel tanto che tu hai saputo conseguire con il tuo valore e le tue buone azioni. Passano le ore e i giorni, i mesi e gli anni, e il tempo trascorso non torna mai indietro, né si può sapere quello che verrà poi. Il tempo che viene concesso da vivere a ciascuno, di quello lui deve accontentarsi» (pag. 77)

Bella l’immagine del vecchio/navigante che, dopo un lungo viaggio, vede terra:
«e davvero la vecchiaia è per me così gradevole, che più mi avvicino alla morte, più mi sembra di vedere terra e di essere prossimo ad entrare finalmente in porto, reduce da una lunga navigazione» (pag.79)

giggino904

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