Analisi poesia "Uomo del mio tempo"

Messaggioda sennaretta » 14 mar 2012, 15:21

UOMO DEL MIO TEMPO
Sei ancora quello della pietra e della fionda,
uomo del mio tempo. Eri nella carlinga,
con le ali maligne, le meridiane di morte,
t’ho visto – dentro il carro di fuoco, alle forche,
alle ruote di tortura. T’ho visto: eri tu,
con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio,
senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora,
come sempre, come uccisero i padri, come uccisero
gli animali che ti videro per la prima volta.
E questo sangue odora come nel giorno
quando il fratello disse all’altro fratello:
«Andiamo ai campi». E quell’eco fredda, tenace,
è giunta fino a te, dentro la tua giornata.
Dimenticate, o figli, le nuvole di sangue
salite dalla terra, dimenticate i padri:
le loro tombe affondano nella cenere,
gli uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore.

Il poeta Salvatore Quasimodo, nella poesia “Uomo del mio tempo”, apre un dialogo all’umanità e soprattutto ai giovani d’oggi, parlando dell’uomo del nostro secolo, ammonendolo, e alla fine lasciandogli un messaggio. Quasimodo paragona l’uomo moderno a quello primitivo, quando usava ancora la pietra e la fionda per vivere. L’uomo di oggi ha sfruttato la sua intelligenza, non a fin di bene, ma per costruire armi sempre più perfette, uccidendo i suoi simili. Ha inventato il carro armato per massacrare la gente, senza ragione, senza tener conto dell’amore che Cristo ci ha trasmesso. Ha continuato il suo omicidio, un po’ come Caino disse al fratello Abele di accompagnarlo ai campi e lo uccise. Alla fine lascia questo messaggio ai giovani, affinché non commettano gli stessi errori dei loro padri e dimentichino tutti i massacri e le barbarie, perché ora tutto giace sotto la cenere.

sennaretta

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Messaggioda giada » 14 mar 2012, 19:49

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