NICCOLò MACCHIAVELLI vita opera biografia

Messaggioda kekkacioccula » 16 set 2012, 15:54

Niccolò di Bernardo dei Machiavelli (Firenze, 3 maggio 1469 – Firenze, 21 giugno 1527) è stato uno storico, scrittore, drammaturgo, politico e filosofo italiano.

Come Leonardo, Machiavelli è considerato un tipico esempio di uomo rinascimentale. Questa definizione — secondo molti — descrive in maniera compiuta sia l'uomo sia il letterato più del termine machiavellico, entrato peraltro nel linguaggio corrente ad indicare un'intelligenza acuta e sottile ma anche spregiudicata.[1] Machiavelli è inoltre considerato il fondatore della scienza politica moderna
Niccolò aveva già presentato al Consiglio dei Richiesti, il 18 febbraio 1498, la propria candidatura a segretario della Seconda Cancelleria della Repubblica fiorentina, ma gli fu preferito un candidato savonaroliano. Pochi giorni dopo la fine dell'avventura politica e religiosa del frate ferrarese, il 28 maggio Machiavelli fu nuovamente designato ed eletto il 15 giugno dal Consiglio degli Ottanta, elezione ratificata dal Consiglio maggiore il 19 giugno 1498, probabilmente grazie all'autorevole raccomandazione del Primo segretario della Repubblica, Marcello Virgilio Adriani, che il Giovio asserisce[8] essere stato suo maestro.

Per quanto i compiti delle due Cancellerie siano stati spesso confusi, generalmente alla prima si attribuivano gli affari esterni, e alla seconda quelli interni e la guerra: ma i compiti della seconda Cancelleria, presto unificati con quelli della Cancelleria dei Dieci di libertà e pace, consistevano nel tenere i rapporti con gli ambasciatori della Repubblica, cosicché, essendogli stata affidata, il 14 luglio, anche questa ulteriore responsabilità, Machiavelli finì per doversi occupare di una tale somma di compiti da essere storicamente considerato, senza ulteriori distinzioni, il «Segretario fiorentino».





Caterina Sforza Riario, ritratta da Lorenzo di Credi.
Era il tempo nel quale, conclusa l'avventura italiana di Carlo VIII, la maggiore preoccupazione di Firenze era volta alla riconquista di Pisa - resasi indipendente dopo che Piero de' Medici l'aveva data in pegno al re di Francia- e alleata di Venezia che, intendendo impedire l'espansione fiorentina, aveva invaso il Casentino, occupandolo a nome dei Medici. Il pericolo venne fronteggiato dal capitano di ventura Paolo Vitelli, e la mediazione del duca di Ferrara Ercole I, il 6 aprile 1499, riconsegnò il Casentino a Firenze, autorizzandola altresì a riprendersi Pisa.

In marzo venne inviato a Pontedera, dove erano acquartierate le milizie del signore di Piombino, Jacopo d'Appiano, alleato di Firenze; in maggio scrisse il Discorso della guerra di Pisa per il magistrato dei Dieci: poiché «Pisa bisogna averla o per assedio o per fame o per espugnazione, con andare con artiglieria alle mura», esaminate diverse soluzioni, si esprime favorevole a un assedio di «un quaranta o cinquanta dì ed in questo mezzo trarne tutti gli uomini da guerra potete, e non solamente cavarne chi vuole uscire, ma premiare chi non ne volesse uscire, perché se ne esca. Dipoi, passato detto tempo, fare in un subito quanti fanti si può; fare due batterie, e quanto altro è necessario per accostarsi alle mura; dare libera licenza che se ne esca chiunque vuole, donne, fanciulli, vecchi ed ognuno, perché ognuno a difenderla è buono; e così trovandosi i Pisani voti di difensori dentro, battuti dai tre lati, a tre o quattro assalti sarìa impossibile che reggessero».

Il 16 luglio 1499 si presentò a Forlì alla contessa Caterina Sforza Riario, nipote di Ludovico il Moro e madre di Ottaviano Riario, che era stato al soldo dei fiorentini, per rinnovare l'alleanza e ottenere uomini e munizioni per la guerra pisana. Ottenne solo vaghe promesse dalla contessa che era già impegnata a sostenere lo zio nella difficile difesa del Ducato milanese dalle mire di Luigi XII e dovette ripartire senza aver nulla ottenuto.

Era nuovamente a Firenze in agosto, quando le artiglierie fiorentine, provocata una breccia nelle mura pisane, aprivano la via alla conquista della città, ma il Vitelli non seppe sfruttare l'occasione e temporeggiò finché la malaria non ebbe ragione delle sue truppe, costringendolo a togliere l'assedio il 14 settembre. Invano ritentò l'impresa: sospettato di tradimento, quello che «era il più reputato capitano d'Italia»[9] fu decapitato. Nessuna prova vi era che il Vitelli fosse stato corrotto dai Pisani ma la giustificazione di Machiavelli, a nome della Repubblica, in risposta alle critiche di un cancelliere di Lucca, fu che «o per non havere voluto, sendo corropto, o per non havere potuto, non avendo la compagnia, ne sono nati per sua colpa infiniti mali ad la nostra impresa, et merita l'uno o l'altro errore, o tuct'a due insieme che possono stare, infinito castigo».[10]





Il cardinale di Rouen Georges d'Amboise
Conquistato il Ducato di Milano, in risposta alla richieste fiorentine Luigi XII mandò suoi soldati a risolvere l'impresa di Pisa le cui mura furono bensì abbattute nel luglio del 1500 ma né gli svizzeri né i francesi entrarono in città anzi, lamentando che Firenze non li pagasse, levarono l'assedio e sequestrarono il commissario fiorentino Luca degli Albizzi, che fu rilasciato solo dietro riscatto. A Machiavelli, presente ai fatti, non restava che informare la Repubblica, che decise di mandarlo in Francia, insieme con Francesco della Casa, per cercare nuovi accordi che risolvessero finalmente la guerra di Pisa. Il 6 agosto 1500 raggiunsero la corte francese a Nevers, presentando al re e al ministro, cardinale di Rouen, le rimostranze per il cattivo comportamento dei loro soldati; sapendo che Firenze non aveva al momento denari sufficienti a finanziare l'impresa, invitarono Luigi a intervenire direttamente nella guerra, al termine della quale la Repubblica avrebbe ripagato la Francia di tutte le spese.

Il rifiuto dei francesi - che richiedevano a Firenze il mantenimento degli svizzeri rimasti accampati in Lunigiana e minacciavano la rottura dell'alleanza - mise i legati fiorentini, privi di istruzioni dalla Repubblica, in difficoltà, acuite dalla ribellione di Pistoia e dalle iniziative che frattanto aveva preso in Romagna Cesare Borgia, i cui ambiziosi e oscuri piani potevano anche indirizzarsi contro gli interessi fiorentini. Occorreva, pagando, mantenere buoni rapporti con la Francia - scriveva da Tours il 21 novembre - e guardarsi dalle macchinazioni del papa: così, ottenuto dalla Signoria il denaro richiesto dalla Francia, Machiavelli poteva finalmente ritornare a Firenze il 14 gennaio 1501.

Quella lunga permanenza nella corte francese verrà dislocata negli opuscoli (entrambi del 1510) De natura Gallorum, dove i francesi verranno descritti come «humilissimi nella captiva fortuna; nella buona insolenti [ ... ] più cupidi de' danari che del sangue [ ... ] vani et leggieri [ ... ] più tosto tachagni che prudenti», con una bassa opinione degli Italiani, e nel successivo Ritratto delle cose di Francia, dove, spostandosi su un piano d'analisi prettamente politica, finisce col fare della Francia l'esemplare dello stato moderno. Soprattutto egli insiste sul nesso fra la prosperità della monarchia e il raggiunto processo di unificazione nazionale, sentito come la lezione peculiare delle "cose di Francia".[11]

Cesare Borgia [modifica]





Per approfondire, vedi la voce Cesare Borgia.






Presunto ritratto di Cesare Borgia, di Altobello Melone.



« Questo signore è molto splendido e magnifico, e nelle armi è tanto animoso che non è sì gran cosa che non gli paia piccola, e per gloria e per acquistare Stato mai si riposa né conosce fatica o periculo: giugne prima in un luogo che se ne possa intendere la partita donde si lieva; fassi ben volere a' suoi soldati; ha cappati e' migliori uomini d'Italia: le quali cose lo fanno vittorioso e formidabile, aggiunte con una perpetua fortuna »





(Machiavelli, Lettera ai Dieci del 26 giugno 1502)


La minaccia del Borgia si fece presto concreta: fermato dalle minacce della Francia quando tentava d'impadronirsi di Bologna, si volse contro Piombino, entrando nel territorio della Repubblica e cercando di imporle tributi, dai quali Firenze fu nuovamente fatta salva dall'intervento di Luigi. Fra una missione a Pistoia e un'altra a Siena, Niccolò ebbe tempo di sposare, nell'autunno del 1501, Marietta Corsini, donna di modesta origine, dalla quale avrà sette figli: Primerana, Bernardo, Lodovico, Guido, Piero, Baccina e Totto.

Padrone di Piombino il 3 settembre 1501, il Borgia, per mezzo del suo sodale Vitellozzo Vitelli s'impadronì di Arezzo, dove si stabilì Piero de' Medici, poi delle terre di Valdichiana, di Cortona, di Anghiari e di Borgo San Sepolcro e di lì passò a investire Camerino e Urbino, chiedendo nel contempo di intavolare trattative con Firenze che, nel frattempo, vistasi stretta dai due Borgia, padre e figlio, aveva rinnovato gli accordi con la Francia. Il 22 giugno 1502, lo stesso giorno della caduta della città nelle mani di Cesare, partirono per Urbino Machiavelli e il vescovo di Volterra, Francesco Soderini, fratello di Piero: ricevuti il 24 giugno, si sentirono ordinare di cambiare il governo della Repubblica, pena la sua inimicizia. La crisi fu superata grazie all'intervento delle armi francesi: avvicinandosi queste ad Arezzo, la città fu sgomberata e restituita, insieme con le altre terre, ai Fiorentini. Riferimento a questi casi è il breve scritto dell'anno successivo, Del modo di trattare i popoli della Valdichiana ribellati, nel quale, preso esempio dal comportamento tenuto dagli antichi Romani in caso di ribellioni, rimprovera il governo fiorentino di non aver trattato severamente la ribelle città di Arezzo. Pensa che come i Romani




« fecero giudizio differente per esser differente il peccato di quelli popoli, così dovevi fare voi, trovando ancora nei vostri ribellati differenza di peccati [ ... ] giudico ben giudicato che a Cortona, Castiglione, il Borgo, Foiano, si siano mantenuti i capitoli, siano vezzeggiati e vi siate ingegnati riguadagnarli con i beneficii [ ... ] ma io non approvo che gli Aretini, simili ai Veliterni ed Anziani non siano stati trattati come loro.[12] [ ... ] I Romani pensarono una volta che i popoli ribellati si debbano o beneficare o spegnere e che ogni altra via sia pericolosissima. »






Di fronte a quelli che apparivano tempi nuovi e tempestosi, nei quali occorreva che uomini capaci prendessero pronte risoluzioni, come prima riforma nell'organizzazione dello Stato fiorentino fu resa vitalizia la carica di gonfaloniere, affidata, il 15 settembre 1502, a Pier Soderini, che appariva uomo accetto tanto agli ottimati che ai popolani. La prima missione che egli affidò a Machiavelli fu quella di prendere nuovamente contatto col Borgia il quale, formalmente capitano delle truppe pontificie e finanziato da quello Stato, intendeva tuttavia agire nel proprio interesse e in quello della sua famiglia, stringendo un nuovo patto col Luigi XII e ottenendone libertà d'azione nei suoi piani di espansione, non solo nei confronti di signorotti quali gli Orsini, i Baglioni e il Vitelli, già suoi alleati, ma anche contro lo stesso Bentivoglio di Bologna. Seguendo la tradizionale politica di alleanza con la Francia, Firenze - pur diffidando del Valentino - intendeva confermargli la sua amicizia, per non essere investita dai suoi aggressivi disegni.

Machiavelli giunse a Imola dal Borgia il 7 ottobre, confidandogli che Firenze non aveva aderito all'offerta di amicizia propostale dagli Orsini e dai Vitelli, congiurati a Magione contro il duca Valentino, e ne ricevette in cambio un'offerta di alleanza, alla quale Niccolò, affascinato dalla figura di Cesare Borgia, guardava con favore più di quanto non facesse il governo fiorentino. Fu al seguito del Valentino per tutta la durata di quei tre mesi di campagna militare e, il 1º gennaio 1503, due ore dopo l'uccisione a tradimento di Vitellozzo e di Oliverotto da Fermo, ne raccolse le parole «savie e affezionatissime»[13] per i Fiorentini, invitati nuovamente a unirsi a lui per avventarsi contro Perugia e Città di Castello. Firenze, a questo punto, decise di mandare presso il Borgia un ambasciatore accreditato, Jacopo Salviati, così che il nostro Segretario il 20 gennaio lasciò il campo di Città della Pieve per fare ritorno a Firenze.





Vitellozzo Vitelli, ritratto da Luca Signorelli.



« Vitellozo, Pagolo et duca di Gravina in su muletti ne andorno incontro al duca, accompagnati da pochi cavagli; et Vitellozo disarmato, con una cappa foderata di verde, tucto aflicto se fussi conscio della sua futura morte, dava di sé, conosciuta la virtù dello huomo et la passata sua fortuna, qualche ammiratione [ ... ] Arrivati adunque questi tre davanti al duca, et salutatolo humanamente, furno da quello ricevuti con buono volto [ ... ] Ma, veduto il duca come Liverotto vi mancava [ ... ] adciennò con l'occhio a don Michele, al quale la cura di Leverotto era demandata, che provedessi in modo che Liverotto non schapassi [ ... ] Liverotto havendo facto riverenza, si adcompagnò con gli altri; et entrati in Senigagla, et scavalcati tutti ad lo alloggiamento del duca, et entrati seco in una stanza secreta, furno dal duca fatti prigioni [ ... ] venuta la nocte [ ... ] al duca parve di fare admazare Vitellozzo e Liverotto; et conductogli in uno luogo insieme, gli fe' strangolare [ ... ] Pagolo et el duca di Gravina Orsini furno lasciati vivi per infino che il duca intese che a Roma el papa haveva preso el cardinale Orsino, l'arcivescovo di Firenze et messer Jacopo da Santa Croce; dopo la quale nuova, a dì 18 di giennaio, ad Castel della Pieve furno anchora loro nel medesimo modo strangolati »





(Machiavelli, Descrizione del modo tenuto dal duca Valentino nello ammazzare Vitellozzo Vitelli, Oliverotto da Fermo, il signor Pagolo e il duca di Gravina Orsini, giugno-agosto 1503)


A Roma [modifica]

La morte di Alessandro VI privò Cesare Borgia delle risorse finanziarie e politiche che gli occorrevano per mantenere il ducato di Romagna, che si dissolse tornando a frammentarsi nelle vecchie signorie, mentre Venezia s'impadronì di Imola e di Rimini. Dopo il brevissimo pontificato di Pio III, Machiavelli fu inviato a Roma il 24 ottobre 1503 per il conclave che il 1º novembre elesse Giulio II. Raccolse le ultime confidenze del Valentino, del quale pronosticò la rovina imminente, e cercò di comprendere le intenzioni politiche del nuovo papa, che egli sperava s'impegnasse contro i Veneziani, le cui mire espansionistiche erano temute da Firenze: «O la sarà una porta che aprirà loro tutta Italia, o fia la rovina loro», scrive il 24 novembre.

A Roma gli giunse la notizia della nascita del secondogenito Bernardo: «Somiglia voi, è bianco come la neve, ma gli ha il capo che pare velluto nero, et è peloso come voi, e da che somiglia voi parmi bello», gli scrive la moglie Marietta il 24 novembre. E Machiavelli, che lungamente in questo scorcio di tempo aveva frequentato la casa del cardinal Soderini, al quale forse prospettò già il suo progetto di costituire una milizia nazionale che sostituisse l'infida soldatesca mercenaria,[14] il 18 dicembre s'avviò per Firenze.

In Francia [modifica]

Le fortune della Francia in Italia sembrarono declinare dopo la cacciata dal Napoletano ad opera dell'armata spagnola di Gonzalo Fernández de Córdoba. Firenze, alleata di Luigi XII, e timorosa delle prossime iniziative della Spagna, del papa e della nemica tradizionale, la Siena di Pandolfo Petrucci, era interessata a conoscere i progetti del re e a questo scopo alla sua corte mandò Machiavelli «a vedere in viso le provvisioni che si fanno e scrivercene immediate, e aggiungervi la coniettura e iudizio tuo». Il 22 gennaio 1504 Machiavelli era a Milano per conferire con il luogotenente Charles II d'Amboise, che non credeva in un attacco spagnolo in Lombardia e rassicurò Niccolò sull'amicizia francese per Firenze.

Raggiunse la corte e l'ambasciatore Niccolò Valori a Lione il 27 gennaio, ricevendo uguali rassicurazioni dal cardinale di Rouen e da Luigi stesso. In marzo ripartiva per Firenze e di qui si recava per pochi giorni a Piombino da Jacopo d'Appiano, per sondare la posizione di quel signorotto.

È di questo tempo la stesura del suo primo Decennale, una storia dei fatti notevoli occorsi degli ultimi dieci anni volta in terzine: Machiavelli non è poeta, anche se invoca Apollo nell'esordio del poemetto, ma a noi interessa il suo giudizio sull'attualità della vicenda politica italiana e su quel che attende Firenze:





Ingresso a Genova di Luigi XII, 1508.



« L'imperador, con l'unica sua prole
vuol presentarsi al successor di Pietro
al Gallo il colpo ricevuto duole;
e Spagna che di Puglia tien lo scetro
va tendendo a' vicin laccioli e rete,
per non tornar con le sue imprese a retro;
Marco, pien di paura e pien di sete,
fra la pace e la guerra tutto pende;
e voi di Pisa troppa voglia avete [ .... ]
Onde l'animo mio tutto s'infiamma
or di speranza, or di timor si carca
tanto che si consuma a dramma a dramma,
perché saper vorrebbe dove, carca
di tanti incarchi debbe, o in qual porto,
con questi venti, andar la vostra barca.
Pur si confida nel nocchier accorto
ne' remi, nelle vele e nelle sarte;
ma sarebbe il cammin facile e corto
se voi el tempio riapriste a Marte »





(Decennale primo, vv 529-549)


I tentativi d'impadronirsi di Pisa fallirono ancora: battuta a Ponte a Cappellese il 27 marzo 1505, Firenze doveva anche guardarsi dalle manovre dei signori ai loro confini. Machiavelli andò a Perugia l'11 aprile per conferire col Baglioni, ora alleato con gli Orsini, con Lucca e con Siena, poi a Mantova, per cercare invano accordi con il marchese Giovan Francesco Gonzaga e il 17 luglio a Siena. In settembre, fallì un nuovo assalto a Pisa e Machiavelli ne trasse spunto per presentare la proposta della creazione di un esercito cittadino. Rimasti diffidenti i maggiorenti della città - che temevano che un esercito popolare potesse costituire una minaccia per i loro interessi - ma appoggiato dal Soderini, Machiavelli si mosse per mesi nei borghi toscani a far leva di soldati, istruiti «alla tedesca», e finalmente, il 15 febbraio 1506, Firenze poté vedere la prima parata di una milizia «nazionale» che peraltro non avrà nessun ruolo nella successiva conquista di Pisa e si rivelerà di scarso affidamento nella difesa di Prato del 1512.

La seconda legazione a Roma [modifica]

Con la pace concordata con la Francia nell'ottobre 1505, la Spagna, con Ferdinando II d'Aragona, aveva preso definitivamente possesso del Regno di Napoli. I piccoli stati della penisola attendevano ora le mosse di Giulio II, deciso a imporre la sua egemonia nell'Italia centrale: nel luglio, il papa chiese a Firenze di partecipare alla guerra che egli intendeva muovere al signore di Bologna, Giovanni Bentivoglio, che era alleato, come Firenze, dei francesi, e perciò teoricamente amico, oltre che confinante, dei Fiorentini. Si trattava di temporeggiare, osservando gli sviluppi dell'impresa del papa al quale fu mandato Machiavelli, che lo incontrò a Nepi il 27 agosto 1506.

Giulio II gli dimostrò di godere dell'appoggio della Francia, che aveva promesso di inviare truppe in suo aiuto, cosicché fu agevole a Machiavelli promettere aiuti a sua volta - dopo però che fossero arrivati quelli di re Luigi - e seguì papa Giulio che, con la sua corte curiale e pochi armati se n'andava a Perugia, ottenendo, il 13 settembre, la resa senza combattimento di Giampaolo Baglioni che, con stupore e rimprovero del Machiavelli[15] e, un giorno, anche del Guicciardini,[16] non ebbe il coraggio di opporsi alle poche forze allora a disposizione del Papa. La corte papale, dopo aver atteso a Cesena fino a ottobre l'arrivo dei francesi e, dopo questi, dei Fiorentini di Marcantonio Colonna, entrò trionfante a Bologna l'11 novembre.

Machiavelli, tornato a Firenze già alla fine d'ottobre, s'occupò ancora dell'istituzione delle milizie fiorentine: il 6 dicembre furono creati i Nove ufficiali dell'Ordinanza e Milizia fiorentina, eletti dal popolo, responsabili militari della Repubblica.

kekkacioccula

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Messaggioda giada » 17 set 2012, 7:54

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