Filosofia: stoicismo, epicureismo, scetticismo, meoplatonism

Messaggioda Chela39 » 14 ott 2012, 8:39

LA SCUOLA STOICA.
Il suo fondatore fu Zenone di Cizio, del quale si hanno verosimilmente la data di nascita e quella di morte (336-335/264-263 a.C.).
Giunto ad Atene circa a 22 anni, conobbe l’Apologia di Platone e i Memorabili di Senofonte e fondò la Stoà poikìle, il Portico dipinto, i quali allievi furono chiamati stoici. Dei suoi scritti rimangono solo frammenti. Tra i suoi primi allievi, Cleante di Asso fu il suo successore nella direzione della scuola. Anche egli morì, come Zenone, di morte volontaria e il suo contributo all’elaborazione del pensiero stoico non fu notevole.
A Cleante seguì il letterato Crisippo di Soli o di Tarso, considerato il secondo fondatore della Stoà. Ad egli successero due suoi allievi: Zenone di Tarso, poi Diogene di Seleucia, il Babilonese. Quest’ultimo si recò a Roma con un’ambasceria composta anche da un peripatetico e un accademico e il loro pensiero stoico fu fonte di ammirazione tra la gioventù romana e della disapprovazione di Catone, il quale lo vedeva come una distrazione per i giovani avviati alla carriera militare.
Tutta la produzione letteraria di questi filosofi è andata perduta e ne possediamo solo pochi frammenti non sempre riferiti a singoli autori ma agli “stoici” in generale.
Lo stoicismo, essendo stato fondato dallo scolaro di un cinico, è la continuazione della dottrina cinica. Come i cinici, gli stoici cercano la felicità per mezzo della virtù e non la scienza, ma diversamente dai primi ritengono che per raggiungere felicità e virtù sia necessaria la scienza. Vi fu comunque chi, particolarmente attaccato al cinismo, ha ritenuto totalmente inutile la scienza.
Il fondatore Zenone ritiene invece che la scienza sia fondamentale per la condotta della vita, essa è una condizione fondamentale della virtù; anzi, spesso, è essa stessa una virtù. Il principio prevalente dello stoicismo è riassumibile in una massima di Seneca: “La filosofia è esercizio di virtù, ma per mezzo della stessa virtù; giacchè non può esservi virtù senza esercizio né esercizio di virtù senza virtù”.
Pertanto la filosofia non è nient’altro che virtù, il cui fine è raggiungere la sapienza attraverso l’esercizio della virtù.
Le virtù si suddividono in naturale, morale e razionale che si identificano con fisica, etica e logica (le tre filosofie).

FISICA.
La dottrina stoica è un rigoroso panteismo poiché essa riconosce nell’ordine immutabile, razionale, perfetto e necessario, ovvero nel principio della fisica stoica, Dio stesso, governatore e conservatore infallibile di tutto ciò che è.
A sostituire le quattro cause aristoteliche, vi sono per gli stoici il principio attivo e il principio passivo, che sono parte della materia e perciò inseparabili. Il principio passivo è la sostanza spoglia di qualità e quindi la materia “prima“; il principio attivo è invece Dio, la ragione, la forza o la causa che agisce sulla materia rendendola dipendente da se stessa.
Il principio passivo o materia è infatti inerte e pronto a ricevere il soffio vitale e le sue determinazioni.
La suddetta distinzione non è assolutamente equiparabile alla distinzione tra corporeo e incorporeo, poiché per gli stoici non esiste altro che il corpo: infatti solo ciò che esiste può agire o subire.
Incorporei sono solo il significato, il vuoto, il luogo e il tempo ma mai le emozioni, la voce, i sensi. Nemmeno Dio, visto come ragione cosmica e fuoco che alimenta la vita, è incorporeo, proprio perché per agire sulla materia vuota deve necessariamente essere corporeo poiché contiene in sé le ragioni seminali secondo le quali tutto si genera (un fuoco animatore ¹ fuoco distruttore). Queste ragioni seminali sono tutte mescolate tra loro prima di ricevere il soffio vitale, separarsi dalle altre e dare vita a esseri diversi. Nascono quindi da un’unità che genera diversità assolute: mai un filo d’erba potrà essere uguale a un altro filo d’erba.
Gli stoici ammettono la visione ciclica del mondo: quando il “grande anno” giunge al termine, tutti gli esseri viventi vengono sterminati (conflagrazione) e inizia un nuovo ordine cosmico, identico al precedente. Questo ciclo è eterno ed è sostanzialmente il destino, quella legge necessaria che regge tutte le cose e che è l’ordine del mondo, la concatenazione tra tutti gli esseri, tra il passato e il futuro. Un fatto venturo è causato da un fatto passato, secondo una concatenazione indistruttibile.
Dal punto di vista di Dio, questo destino è provvidenza che regge e decide tutte le cose.
In conclusione destino, provvidenza e ragione si identificano tra loro e con Dio, presente e operante in tutte le cose. Di conseguenza il mondo non può che essere perfetto, giacché Dio per poter generare deve essere perfetto.
Lo stoico non ammette, infatti, l’esistenza del male nel mondo ma la sua esigenza per l’esistenza del bene: essi sono funzionali l’uno all’altro, si sostengono vicendevolmente.
Lo stoicismo infine ammette la cosiddetta “mantica”, ovvero l’arte di prevedere il futuro, giacché, se l’ordine cosmico è retto da leggi che si ripetono infinitamente, l’uomo filosofo e conoscitore di tali leggi può anticipare la natura.

ANTROPOLOGIA.
Per lo stoico l’anima rientra nel novero delle cose corporee, dato che tutto ciò che agisce o subisce è corpo e l’anima agisce. Difatti l’incorporeo non potrebbe mai separarsi dal corpo né unirsi ad esso, ma l’anima può e quindi è corpo. Essa fa parte di Dio e può pertanto dare la vita.
L’anima è costituita di quattro parti: la ragione (principio direttivo) che genera e controlla le altre parti dell‘anima, i cinque sensi, il seme (principio spermatico) e il linguaggio.
Alcune testimonianze pensano che gli stoici abbiano posizionato la ragione nella testa, altri invece nel cuore.
Lo stoicismo condivide il principio già platonico e aristotelico secondo cui la libertà consiste nell’essere causa di sé, delle proprie azioni. Si chiama autodeterminazione la libertà del filosofo di determinarsi autonomamente, libertà che consiste tuttavia nell’accettare l’ordine del mondo, nel conformarsi al destino, poiché l’uomo non può opporsi alle leggi provvidenziali della natura, che sono necessarie.
Alcuni maestri della Stoà hanno comunque assegnato all’uomo un margine di totale libertà: per esempio, Crisippo ha fatto una distinzione tra cause perfette che agiscono con necessità assoluta, e cause concomitanti che possono subire l’intervento dell’uomo, cioè possiamo assecondarle entro i dati limiti.

ETICA.
Come deve agire l’uomo per entrare in armonia con l’ordine cosmico?
Le due forze istinto e ragione consentono rispettivamente all’animale di conservarsi, nutrirsi e curarsi della propria sopravvivenza, e all’uomo di creare un rapporto tra se stesso e la natura.
L’etica degli stoici, infatti, non è null’altro che un insegnamento a utilizzare correttamente la ragione per stabilire un accordo tra l’uomo e la natura. Zenone affermava che il fine dell’uomo è accordarsi con se stesso, pensiero al quale Cleante aggiunse poi l’accordo con la natura. “Vivere secondo natura” è la massima principale dell’etica stoica. Cleante per natura intendeva quella universale, mentre Crisippo quella universale e umana, che è parte di quella universale. La natura è sostanzialmente quell’ordine razionale, perfetto e necessario, il destino o Dio che tutto comprende. L’azione che l’uomo deve compiere conforme a quest’ordine è il dovere: per la prima volta nell’etica rientra la nozione del dovere, ovvero tutto ciò la cui scelta può essere razionalmente giustificata. Sono doverose quelle azioni che la ragione consiglia di compiere e non doverose quelle che la ragione sconsiglia di fare.
Gli stoici parlano di “dovere retto”, perfetto e proprio del sapiente, e “doveri intermedi”, comuni a tutti e realizzabili solo grazie a una buona indole e una buona istruzione.
L’importanza dell’etica del dovere conduce lo stoico a giustificare il suicidio (conseguenza della nozione del dovere): quando le condizioni sono contrarie all’adempimento del dovere, il sapiente deve abbandonare la vita anche se vive attimi di estrema felicità.


LA SCUOLA EPICUREA.
Il fondatore della scuola epicurea fu appunto Epicuro, il quale svolgeva le lezioni nel giardino della sua sede. I suoi discepoli nutrivano una profonda ammirazione nei confronti del loro maestro tanto che il precetto fondamentale della scuola fu “Comportati sempre come se Epicuro ti vedesse”. Epicuro scrisse numerosissimi testi, circa 300 ma di questi ce ne rimangono pochissimi. La scuola era aperta anche alle donne poiché si fondava sulla solidarietà e sull’amicizia dei suoi membri. Inoltre le amicizie epicuree furono famose in tutto il mondo per la loro nobiltà. Tuttavia nessuno dei suoi discepoli apportò un contributo originale alla dottrina del maestro, rispettando così il suo volere.
Tra i suoi principali discepoli ricordiamo sicuramente Filodemo, vissuto nell’epoca di Cicerone, e Lucrezio, vissuto I secolo a.C. Il primo trattò problemi dal punto di vista epicureo e la polemica che si svolgeva tra questa e le altre scuole. Il secondo invece scrisse il De rerum natura, un’opera fedelissima all’epicureismo e di grandiosità poetica. I sei libri che costituiscono l’opera incompiuta la suddividono in tre parti concernenti una la metafisica, una l’antropologia e una la cosmologia, di due libri ciascuno. Cicerone dopo la morte di Lucrezio, riordinò l’opera e la editò. Lucrezio vede Epicuro come colui che ha liberato gli uomini dal timore della morte: per questo motivo lo esalta come un dio.

LA FISICA.
Alla base della filosofia di Epicuro sta il principio che gli uomini non sono controllati da forze sovrumane o ignote. Esclude perciò la presenza nel mondo di anime o principi spirituali avvalendosi del movimento dei corpi, senza alcun finalismo. La sua filosofia assume così un carattere materialistico e meccanicistico.
L’epicureismo è sostanzialmente una rielaborazione del pensiero di Democrito.
Epicuro conferma la nozione stoica secondo la quale tutto ciò che esiste è corpo, il solo che può agire o subire. Di incorporeo esiste solo il vuoto, che non agisce né subisce ma consente il movimento dei corpi. Partendo da questa affermazione, anche nascita e morte non possono essere altro se non l’aggregazione e la disgregazione di corpi. Il vuoto è quindi lo spazio entro cui gli atomi che compongono i corpi si muovono, urtandosi e combinandosi tra loro e dando origine a forme diverse. Il loro numero sarà tuttavia infinito.
Il moto dei corpi non risponde ad alcun disegno provvidenziale o finalistico, diversamente dallo stoicismo; per dimostrare l’assenza delle divinità gli epicurei ammettono l’esistenza del male. Approvano comunque l’esistenza degli dei come esseri di sembianza umana che abitano spazi vuoti tra mondo e mondo e non si curaro né del mondo né degli uomini. Essi vivono liberi e beati, motivo per il quale il saggio li ammira, per la loro eccellenza, e non li teme.
A questo punto l’ordine del mondo è necessariamente retto da leggi che regolano il movimento degli atomi. A queste leggi nulla sfugge e costituiscono la necessità che presiede a tutti gli eventi del mondo naturale. Secondo Epicuro il mondo è un pezzo di cielo che comprende astri, terre, fenomeni. I mondi sono infiniti e soggetti a nascita e morte. Gli atomi si dispongono nei vari mondi grazie al fenomeno del clinàmen, o deviazione, casuale della loro traiettoria rettilinea (cadono nel vuoto in linea retta). In sostanza l’ordine si determina da sé.
Anche l’anima secondo Epicuro è composta di particelle corporee diffuse in tutto il corpo ma molto piccole cosicché i movimenti siano più sciolti. La morte dell’anima consiste nella separazione degli atomi e nella privazione di ogni sensibilità: avere paura della morte è quindi da stolti poiché se c’è la morte non ci siamo noi e viceversa.

L’ETICA.
Partendo dalla massima “Il piacere è il principio e la fine della vita beata”, affermiamo che l’etica epicurea consiste nella ricerca della felicità. Il piacere infatti è il criterio di scelta e di avversione, il criterio mediante il quale valutiamo ogni cosa.
Esistono due tipi di piacere: il piacere stabile che verte alla privazione del dolore, e il piacere in movimento, che verte alla gioia e alla letizia. La felicità, altrimenti detta <<atarassia>> o <<aponia>>, si basa sul piacere stabile, quindi sull‘imperturbabilità, sul non soffrire nel corpo e sul non agitarsi dell‘anima. Questi termini indicano però un’oscillazione tra una momentanea assenza del dolore e la totale mancanza di esso e per raggiungere il culmine del piacere è necessaria una totale distruzione del dolore.
Tale caratteristica del piacere impone la scelta e la limitazione dei bisogni, che sono di due tipi: i bisogni naturali e i bisogni vani. Tra i primi alcuni sono necessari e altri no e solo quelli necessari e naturali vanno appagati, gli altri non si devono considerare.
Il messaggio epicureo non è quindi “abbandonati al piacere” ma “controlla e misura i piaceri”: è insensato dare troppo spazio a un piacere che ti porta al dolore invece che all‘imperturbabilità. Questo calcolo e poi scarto dei piaceri vani è possibile grazie alla prima e fondamentale virtù per gli epicurei: la saggezza, la quale è la condizione necessaria della felicità.
Secondo Epicuro, inoltre, i piaceri sono di carattere sensibile e così anche il bene. Difatti non può esistere solo la gioia della mente, poiché essa dipende dai piaceri sensibili, che liberano dal dolore mediante il godimento di essi. Sostanzialmente il piacere spirituale è ricondotto alla speranza del piacere sensibile. In conclusione il vero bene non è un piacere “violento” ma un piacere “stabile” che conduca ad una condizione di serenità e all’allontanamento dalla preoccupazione causata da un bisogno vano.

L’esaltazione dell’amicizia e il rifiuto della politica.
Per non confondere la dottrina epicurea con un volgare edonismo, prendiamo in considerazione il culto dell’amicizia, caratteristico della dottrina. Epicuro affermava infatti che “di tutte le cose che la saggezza ci offre per la felicità della vita, la più grande è di gran lunga l’acquisto dell’amicizia”. L’amicizia nasce dall’utile ma è un bene per sé: l’amico non è colui che cerca assiduamente l’utile o colui che non lo considera parimenti con l’amicizia poiché in entrambi i casi non si tratterebbe di vera e pura amicizia. Per smentire il carattere edonistico della dottrina, citiamo anche l’esaltazione della saggezza indipendentemente dall’utile che può portare: sarebbe certamente meglio se la saggezza fosse accompagnata dalla fortuna ma è preferibile una saggezza sfortunata che una dissennatezza fortunata; o ancora, partendo dal presupposto che per Epicuro la giustizia sia una convenzione inventata dagli uomini per non danneggiarsi reciprocamente, il fatto che egli ammetta che è difficile che il saggio compia un’ingiustizia e in tal caso nessuno lo verrebbe a sapere e ciò non avrebbe su di lui ripercussioni negative, anzi egli continuerà ad essere onesto.
Epicuro esalta anche la solidarietà tra gli uomini che porta anch’essa al piacere: “E’ non solo più bello ma anche più piacevole fare il bene piuttosto che riceverlo”.
Infine il principio fondante della dottrina è “vivi nascostamente”, vivi estraneo alla vita politica. Essa ostacola il percorso verso l’atarassia ed è fonte di turbamento, sebbene Epicuro ne riconosca i vantaggi.


LO SCETTICISMO.
Rispetto alle altre dottrine fin qui proposte, lo scetticismo assume caratteri totalmente differenti. Prevalentemente si dedica alla demolizione delle altre filosofie, soprattutto quelle contemporanee, nella piena convinzione che, di fronte alle varie visioni del mondo, l’unico modo per raggiungere la serenità della mente è un’indagine volta a riconoscere fallaci le altre precedenti. Infatti il termine scetticismo deriva dal greco “skepsis”, che significa indagine, ricerca.
Le filosofie precedenti si occupavano di cercare delle verità e dei sistemi che regolassero l’universo, mentre lo scetticismo dichiara fermamente che l‘uomo non può accedere alla verità ultima delle cose e che la più alta forma d’intelligenza sta proprio nel riconoscere tale incapacità che, tra l’altro, è dimostrata dalla molteplicità delle filosofie precedenti in lotta tra loro. Tuttavia analogamente alle altre scuole, lo scetticismo è atto ad ottenere la pace interiore, partendo dalla critica consapevole dei dogmi antecedenti.
Per certi aspetti lo scetticismo rivela comunque un legame con il socratismo, con la sofistica e con il movimento gimnosofista orientale, con il quale era stato in contatto l’iniziatore dello scetticismo.

Lo scetticismo ha subito col passare del tempo una banalizzazione, poiché è stato interpretato come una dottrina che mette tutto ciò che esiste in discussione e che quindi nega la validità di qualunque criterio di condotta. Le varie confutazioni affermano che non è lecito dire che tutto è dubbio perché chi sostiene ciò, per affermarlo, deve senza dubbio esistere; che lo scetticismo non può affermare che tutto è falso se poi presenta se stesso come vero.
Gli scettici, in verità, non negano la verità dei fenomeni, ma le teorie su di essi, cioè la pretesa filosofica di spiegarne la natura. Infatti Pirrone e Timone sostengono la validità dei fenomeni perché appaiono: gli scettici non si chiedono il “che” ma il “come” dei fenomeni, cioè la conoscibilità del loro modo di essere. Non possiamo conoscere il fine ultimo e le cause prime ma solo le cause efficienti, solo ciò che ci è concesso di indagare.
Lo scetticismo non si presenta dunque come un dogma ma come un’ipotesi che può essere sempre riconfermata o confutata attraverso un’indagine sempre aperta.
Lo scettico lascia l’uomo privo di criteri, rendendo così impossibile l’esistenza umana, poiché non fugge dal mondo ma continua a fare ciò che fanno tutti gli altri o per convenzione e utilità (Pirrone) o perché lo ritiene più ragionevole e probabile (Accademici).

PIRRONE E TIMONE.
Lo scetticismo non fu una scuola ma un indirizzo seguito da tre scuole distinte: 1. la scuola di Pirrone, 2. la media e nuova Accademia, 3. gli scettici posteriori.
Pirrone non scrisse nulla e tutte le sue dottrine ci sono note grazie alle testimonianze di Diogene Laerzio. Secondo l’iniziatore, non esistono cose vere o false, belle o brutte, giuste o sbagliate per natura e assolutamente ma solo per convenzione e relativamente. Infatti sono gli uomini con le loro scelte e le loro abitudini a rendere una cosa buona o cattiva, bella o brutta e così via. Comunque, prescindendo da ciò, non si può esprimere un parere sulla realtà poiché essa è mutabile, è perciò legittimo solo sospendere ogni giudizio. Dato che solo lo scetticismo può portare all’atarassia, lo scettico guarda con compassione e superiorità i filosofi che cercano verità valide e ultime sulla realtà poiché egli è invece consapevole che sono e saranno sempre sconosciute all’uomo. Ovviamente questa consapevolezza non impedisce allo scettico pirroniano di vivere una vita pratica normalissima, l’unica differenza consiste appunto nel fatto che egli sa di non poter dare un significato assoluto e conosciuto dalla ragione né sulla vita né sulle cose.
Il suo allievo Timone afferma che l’uomo per essere felice deve sapere tre cose:
1. Quale sia la natura delle cose;
2. Quale atteggiamento si debba assumere rispetto ad esse;
3. Quali conseguente determina questo atteggiamento.
Dato che non si possono avere queste tre conoscenze, non ci rimane altro che non pronunciarci riguardo alcunché.

LA MEDIA E NUOVA ACCADEMIA.
L’Accademia platonica riprese successivamente l’indirizzo scettico, basandosi proprio sul principio platonico che aveva sempre negato che il mondo sensibile, perché mutevole e vario, potesse essere oggetto di scienza e che quest’ultima avrebbe sempre avuto come oggetto il mondo dell’essere, perfetto e immutabile. Il mondo dell’essere però non era più oggetto d’interesse per i filosofi del tempo che si rifacevano ai fini pratici della vita, quindi per gli scettici rimaneva valida solo l’impossibilità di una conoscenza certa delle cose di questo modo.

Arcesilao --> Iniziatore dell’Accademia, non scrisse nulla e le sue dottrine sono riportate tramite fonti indirette. Secondo la testimonianza di Cicerone, egli non formulò una propria teoria ma commentò e criticò le altre. Se per Socrate l’uomo nulla può sapere, per Arcesilao l’uomo non può sapere con certezza nemmeno di essere ignorante. Egli sostanzialmente difendeva la sospensione del giudizio sostenuta la Pirrone poiché ad ogni tesi ne affermava una opposta per poi ritrovarsi di fronte all’impossibilità di decidersi per l’una o per l’altra.
L’uomo, secondo Arcesilao, non può basarsi su una conoscenza assoluta, ma solo agire in base alle circostanze, in base a un motivo più o meno fondato. Infatti il criterio di scelta per Arcesilao è la ragionevolezza, che sta alla base della ragione.

Carneade --> Continuatore del ruolo investito da Arcesilao, Carneade di Cirene fu un uomo di grande eloquenza che non lasciò scritti e le cui dottrine furono raccolte dagli scolari. Recatosi a Roma, tenne due discorsi, attraverso i quali dimostrò l’inconciliabilità della giustizia con la saggezza. Afferma che la giustizia sta alla base di tutta la vita civile e che è diversa a seconda dei tempi e dei popoli. Prende come esempio il popolo romano che si è impadronito del mondo intero e che, se fosse stato giusto, avrebbe restituito a tutti i popoli i loro possessi e sarebbe rimasto a mani vuote, ma in tal caso sarebbe anche stato stolto.
Secondo Carneade, la rappresentazione catalettica non è un criterio sufficiente di verità ma non ritiene necessaria la sospensione del giudizio. Difatti diceva che non è possibile individuare un criterio di verità ma è possibile indicare un criterio di credibilità ovvero una nozione che permetta di scegliere le opinioni più plausibili. Questo criterio è chiamato rappresentazione persuasiva o probabile. Se non è contraddetta da altre rappresentazioni allora ha un grado di probabilità maggiore; se poi viene anche esaminata in ogni sua parte, costituisce il grado più alto di verosimiglianza a cui l’uomo può arrivare.


LA FILOSOFIA GRECO-GIUDAICA.
FILONE.
Durante il I secolo d.C., in Palestina, la sapienza orientale si avvicina a quella greca e cerca di assimilarne i concetti. Per esempio, la setta degli Esseni, un’associazione riservata a gruppi adepti, interpretava allegoricamente il Vecchio Testamento secondo concetti greci: credevano nella preesistenza e nell’immortalità dell’anima, ammettevano intermediari tra Dio e il mondo, la possibilità di profetizzare il futuro. Le loro dottrine ci sono note grazie ai rotoli del Mar Morto scoperti di recente.
Il cristianesimo si presentò invece sin dall’inizio come una religione universale. Filone di Alessandria conciliò le credenze giudaiche con il pensiero greco; scrisse tantissimi scritti, la maggior parte dei quali commentava il Vecchio Testamento. I punti fondamentali della sua filosofia sono: la trascendenza assoluta di Dio rispetto a ciò che l’uomo conosce e può conoscere; la dottrina del Lògos come intermediario tra Dio e l’uomo; il ritorno dell’uomo a Dio, fino all’estasi ovvero l’uscita dell’uomo da sé e il congiungersi con Dio. La dottrina del Lògos era già presente in un libro del Vecchio Testamento ed è utilizzata da Filone per la mediazione tra Dio e il mondo; il Lògos è un modello, una legge della creazione grazie alla quale Dio ordina e plasma tutte le cose.

PLOTINO E IL NEOPLATONISMO.
Il neoplatonismo è l’ultima manifestazione del platonismo nel mondo antico.
In questa filosofia confluiscono elementi platonici, stoici, pitagorici e aristotelici in sintesi.
Il fondatore del neoplatonismo a Ammonio Sacca che non lasciò alcun scritto. Tra i suoi scolari ricordiamo Origene e Cassio Longino.
La figura più rilevante è Plotino, che fondò una scuola a Roma, dove ebbe parecchi ammiratori. Il suo scolaro Porfirio di Tiro pubblicò gli scritti del suo maestro e fu autore di molti testi originali.

Sebbene Plotino presenti la sua filosofia come una rivisitazione del platonismo, il suo fu un pensiero nuovo e originale che tuttavia incluse i motivi della riflessione greca precedente.
Egli pone alla base della molteplicità delle cose la loro unità, afferma che la molteplicità sarebbe impensabile senza l’unità. Tutto deriva dall’unità, il due presuppone l’uno, tutto è ciò che è solo perché costituisce un’unità.
Plotino percepisce una scala gerarchica: vi sono esseri minori che hanno quindi meno unità e viceversa, fino a raggiungere l’Uno assoluto, l’Uno in sé, l’Uno totale, l’insieme per eccellenza da cui tutto deriva. Pertanto se la radice dell’essere è l’unità, la radice del mondo è l’Uno.

L’Uno, essendo principio di tutte le cose, è diverso dalle molteplici cose che forma. È dunque infinito, non nel senso che aveva assunto nelle altre filosofie, ma nel senso che la sua potenza è illimitata. Conseguentemente è privo di forma e di figura e perciò è anche trascendente, cioè sta al di là dell’essere e della sostanza, del tempi e di ogni determinazione quantitativa.
L’Uno è inesauribile, l’assolutamente altro di cui si può affermare solo quello che non è (teologia negativa). L’Uno è anche Bene, se relazionato al mondo con il quale si rapporta, e Causa. Però come si può parlare dell’Uno e del suo rapporto col mondo se è assolutamente altro? I due problemi fondamentali della filosofia di Plotino sono appunto questi: perché dall’Uno derivano i molti e come avviene tale derivazione.
L’Uno non ha bisogno del mondo perché è perfetto ed è superiore al mondo e non rimane unico perché sovrabbonda di essere che continua ininterrottamente a generare. Questa caratteristica è connaturata in Lui: genera essere non per obbligo ma per spontaneità. La libertà dell’Uno pone necessariamente il mondo il quale non è una realtà intenzionalmente voluta ma un prodotto inevitabile del suo troppo essere.
Attraverso i concetti di perìlampsis e di apòrroia ovvero irradiazione e emanazione. Per spiegare questi concetti il filosofo usa delle immagini: il procedere del reale da un principio supremo è identificato con l’irradiarsi della luce da un fonte luminosa centrale; oppure il fuoco che emana calore, la sostanza odorosa che emana un profumo, la neve che emana gelo e così via.
In sostanza l’emanazione è il processo per cui dall’Uno derivano i molti, attraverso una serie di gradi dell’essere sempre più imperfetti man mano che ci si allontana dall’Uno. Inoltre non è un processo temporale ma ideale, non si compie nel tempo ma è eterno.
Si differenzia dal dualismo platonico-aristotelico che non faceva derivare il mondo da Dio, dal creazionismo secondo cui Dio crea il mondo volontariamente, e dal panteismo che identifica Dio con il mondo.
L’emanazionismo concepisce il mondo come effetto della processione divina, che lo crea non per atto d’amore ma per conseguenza della sua sovrabbondanza d’essere. Il Dio esiste poi al di là del mondo e in modo incorporeo, tant’è che Plotino è considerato il fondatore della metafisica trascendentista.

Il processo di emanazione avviene per gradi, chiamati ipostasi.
1) L’Uno stesso, ovvero tutte le cose in potenza.
2) L’Intelletto, che consiste nella contemplazione dell’Uno o nell’esplicazione di tutte le forme dell’essere ed è l’archetipo eterno da cui tutte le altre cose prendono esempio.
3) L’Anima che è formata da due parti: quella superiore rivolta all’Intelletto per ricevere la luce dei modelli, e quella inferiore rivolta al corpo per ordinarlo secondo quei modelli; si identifica quindi come forza plasmatrice.
Ogni ipostasi nasce dalla precedente: l’Intelletto è verbo e atto dell’Uno, l’Anima è verbo e atto dell’Intelletto. Il loro rapporto è simboleggiato da luce (l’Uno), sole (l’intelletto) e luna (l’Anima). Le tre ipostasi costituiscono il mondo intelligibile.
Il mondo materiale è visto negativamente come privazione del positivo perché è formato di materia, che nella scala gerarchica è la più lontana a Dio. Essa è il non-essere o il male, l’oscurità, la totale assenza del bene e dell’essere.
Le anime singole sono la copia dell’Anima del mondo che vivifica la materia, pur rimanendo unica. Essa quindi ha il potere di produrre unità e simpatia ovvero l’armonia tra tutte le cose, rendendo il mondo bello, perfetto e ordinato. Dalla sua attività sorge anche la temporalità, poiché nel suo distribuirsi nella materia pone un prima e un poi a ciò che nell’eterno è simultaneo.


Questo ciclo cosmico termina con il ritorno dei molti all’Uno. Questa saldatura avviene attraverso l’uomo che, resosi conto di ciò che ha perduto, desidera tornare alla casa del Padre, ovvero alla condizione di perfezione iniziale. L’anima con la sua caduta dal mondo intelligibile si macchia di due colpe: il desiderio di appartenere e legarsi al corpo e conseguentemente la troppa cura del corpo e delle cose esteriori. Le anime sono quindi in bilico tra il legame con il corpo e il legame con la perfezione che le ha create, detta in una sola parola nostalgia: la vita è vista infatti come esilio. Secondo Plotino, il ritorno all’Uno consiste in un ritorno a se stesso e nell’abbandono delle cose esteriori, bisogna raccogliersi in se stessi e ascoltarsi.
Per tornare all’Uno bisogna liberarsi da ogni rapporto con il corpo, poiché attraverso l’intelligenza, la sapienza, la temperanza, il coraggio e la giustizia l’anima opera da sola e solo con la ragione, si libera dalle passioni, non teme di separarsi dal corpo. Queste virtù costituiscono la fase preparatoria per ritornare verso la perfezione divina. Attraverso l’arte si contempla la bellezza, quella bellezza che pur trattandosi di mondo sensibile è emanata dal mondo intelligibile. Attraverso la musica l’uomo coglie l’armonia intelligibile. Grazie all’amore l’uomo può vedere mediante la bellezza corporea quella incorporea, riflesso del Bene. Attraverso la filosofia o la dialettica infine l’uomo raggiunge l’Uno in sé.
All’Uno si giunge solo attraverso l’estasi, non per merito dell’intelligenza che è condizionata dal dualismo tra soggetto pensante e oggetto pensato.
Essa è l’amoroso contatto tra Dio e l’anima dell’uomo che esce dal corpo in cui è stata imprigionata.
Bisogna precisare che l’estasi non implica una fuga dal mondo e dalle cure della vita ordinaria ma è il punto d’arrivo di un pensiero razionalista tipicamente di carattere greco, quello di Platone ma più acuito. La sua religiosità più mistica e trascendente non fa però affidamento su aiuti dall’alto ma sull’uomo stesso.

E' una scheda riassuntiva di ben 40 pagine, sono stata sistematica per quanto possibile. Qualora vi fosse d'aiuto ne sarà compiaciuta :) buono studio!

Chela39

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Messaggioda giada » 14 ott 2012, 8:43

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