L'Età Feudale

Messaggioda norma 1996 » 20 gen 2013, 22:57

L’ETÀ FEUDALE
Terminologia. Il termine "feudale" indica, nel suo significato più generale, una crisi del governo centrale che per
sopravvivere è costretto a cedere alcune prerogative sovrane - coniare monete, amministrare la giustizia, riscuotere tasse,
arruolare soldati - ai rappresentanti periferici (la nobiltà locale). Dal IX all'XI secolo l'Europa sperimentò le conseguenze
del crollo dell’impero carolingio, che si era dimostrato capace di assicurare ai cittadini un'esistenza politica basata sulla
certezza del diritto, sull'ordine pubblico, sull'esistenza di una burocrazia capace di far giungere fino in periferia la volontà
del governo, e su un esercito permanente in grado di difendere lo Stato dagli effetti disastrosi dell'anarchia interna e dalle
incursioni di nemici esterni.
L’anarchia feudale. Dopo la breve stagione dell'unità politica dell'Europa occidentale sotto Carlo Magno, i nobili
imposero al sovrano tante limitazioni al suo potere da apparire essi stessi quasi piccoli re, posti a capo di una limitata
porzione di territorio, incapaci di formulare una politica unitaria per allontanare le scorrerie delle ultime popolazioni
seminomadi. Gli scambi commerciali si ridussero al minimo e l'agricoltura si organizzò per l'autoconsumo; la vita delle
città, che ai tempi di Carlo Magno e di Ludovico il Pio aveva conosciuto una certa ripresa, si ridusse, e l'architettura
sembra aver prodotto solo tetre fortificazioni munite di rare aperture per non offrire appigli all'espugnazione dei tanti
nemici che sbucavano da ogni parte. Infatti, i terribili uomini del nord erano in grado di condurre le loro navi fin
all'interno del continente; i Saraceni penetravano fin nel cuore delle Alpi; i Magiari sembravano vivere sul dorso dei loro
cavalli.
Le fonti scritte per la storia di questo periodo sono di origine monastica: si tratta di scarne cronache che riferiscono
inondazioni, pestilenze, carestie e saccheggi. I monaci usavano uno stile da fine del mondo: probabilmente ci furono anni
meno turbinosi, ma nel complesso si può parlare di ritorno ai peggiori momenti del V e del VI secolo, ma con meno
fiducia perché i musulmani sembravano refrattari alla conversione, mentre Vichinghi e Magiari presero in considerazione
la conversione solo dopo la ripresa politica e militare dell'Occidente.
Il regime feudale fu espressione dell'organizzazione locale delle forze ancora esistenti, avendo di mira la sopravvivenza.
Quando le condizioni esterne si fecero meno oppressive, il ricordo dell'impero romano e cristiano permise la renovatio
imperii guidata dalla nazione germanica.
Re, cavalieri, contadini. Lo studio della società feudale è complesso e sono falliti i tentativi di indicare uno schema
semplice adatto a tutte le situazioni locali. Forse è meglio descrivere la genesi degli istituti sociali e politici medievali
sottesi al termine "feudalesimo".
La società classica. Il mondo romano si fondava sulle città, ossia sulla presenza di un mercato nel quale si trovavano i
beni necessari alla vita, in primo luogo il cibo. Le campagne intorno alle città provvedevano al rifornimento del mercato,
ricevendo in cambio i prodotti dell'artigianato e i servizi. La terra era coltivata da piccoli proprietari liberi che portavano
al mercato solo le eccedenze agricole rimaste dopo aver soddisfatto i bisogni primari della famiglia, e da grandi
proprietari terrieri (latifondisti) che si avvalevano del lavoro degli schiavi: le grandi famiglie senatorie romane fondavano
la loro potenza sulla proprietà della terra. La crisi demografica del basso impero e le invasioni barbariche ruppero un
equilibrio durato secoli, e nell'impero si insediarono stabilmente numerose popolazioni germaniche che vi introdussero
profondi mutamenti.
La società barbarica. Essa era, invece, divisa in clan e tribù che si reggevano secondo leggi consuetudinarie: essi erano
allevatori di bestiame con scarse simpatie per l'agricoltura sedentaria. Il servizio militare prestato come mercenari fornì
per qualche tempo il denaro necessario per soddisfare le accresciute esigenze, poi vennero le razzie e infine l'occupazione
stabile di una parte dell'impero romano con la riduzione della popolazione romana alla condizione di tributari. Nel VI e
VII secolo le monarchie barbariche rafforzarono la loro potenza; poi, quando ebbero dilapidato il demanio ceduto ai loro
dipendenti, cominciò la decadenza.
I Carolingi. Essi ricorsero all'occupazione del patrimonio ecclesiastico e alla conquista di nuovi territori riuscendo per
qualche tempo a costituire uno Stato dotato di una certa vitalità, ma anch'esso cadde sotto i colpi dell'anarchia dei nobili e
delle incursioni vichinghe, magiare e saracene. Infatti non era avvenuta la ricostituzione di un sistema economico fondato
sull'economia di mercato e l'organizzazione sociale divenne sempre più primitiva, rivolta alla produzione di ciò che è
necessario per vivere. L'età feudale è caratterizzata dalla riduzione al minimo degli scambi di merci, dalla produzione per
l'autoconsumo, per cui ogni nucleo sociale doveva risultare autosufficiente, ricorrendo per beni indispensabili al baratto di
merce contro merce, perché il denaro aveva perduto il carattere di merce privilegiata in grado di trasformarsi in tutti gli
altri beni desiderati.
I contadini. La società completamente ruralizzata prevedeva una fondamentale divisione in due categorie: i contadini per
la produzione del cibo e i guerrieri per la difesa. Tra gli uni e gli altri si stabilì una sorta di solidarietà sancita da un
contratto fondato su prestazioni reciproche: se i guerrieri non assicuravano una protezione efficace, c'era la fame per tutti.
Occorreva perciò trovare protettori efficaci stabilendo una piramide retta da una solidarietà verticale. Al vertice della
piramide c'era il re, proprietario del territorio su cui aveva giurisdizione. Poiché il re aveva bisogno di un esercito e di una
burocrazia, doveva cedere in possesso ampie parti del suo territorio in conto pagamento delle prestazioni dei suoi uomini
coi quali stabiliva un contratto: se le clausole erano rispettate si era "fedeli"; se erano infrante si incorreva nel reato di
"fellonia", il contratto era rescisso e il fellone messo al bando.
Proprietà e possesso della terra. La proprietà della terra rimaneva al re che ne cedeva solo il possesso ai suoi fedeli
(conti, duchi, marchesi) i quali, a loro volta, per risolvere i loro problemi non avevano altra risorsa che sub-infeudare
parte della loro terra a vassalli minori secondo contratti analoghi a quelli stipulati dal re con loro. La piramide si allargava
fino a raggiungere la base, ossia i contadini che provvedevano col lavoro al mantenimento di tutti.
I contadini alla base della piramide. I contadini vivevano in villaggi costruiti intorno alla villa o curtis del proprietario
locale, il cui terreno agricolo era diviso in due unità: la pars dominica e la pars massaricia. La prima era lavorata da
contadini che le dedicavano, per contratto, da due a cinque giornate lavorative per settimana, ricevendo in cambio il cibo.
La pars massaricia era lavorata in proprio dai contadini che si impegnavano a fornire al signore, al termine dell'annata
agraria o a determinate scadenze, una parte del raccolto.
Modalità di coltivazione. I contadini coltivavano la terra assegnata alla comunità di villaggio secondo un minuzioso
sistema che prevedeva l'assegnazione annua di un certo numero di strisce arative di terreno a seconda del numero delle
persone atte al lavoro presenti in famiglia, mentre i boschi e i pascoli erano d'uso comune per tutta la comunità.
Generalmente si praticava la rotazione delle culture secondo un ciclo di due o tre anni: la striscia arata un anno, nel
successivo era lasciata a pascolo per permettere al terreno di recuperare fertilità. La rotazione su tre anni prevedeva un
anno dedicato alla coltivazione di legumi. La concimazione era pressoché sconosciuta e quindi la resa delle sementi era
modesta: per il frumento, il più importante tra i cereali, il rapporto era di 1 a 2,5 ossia da un sacco di sementi se ne
ottenevano due e mezzo, di cui uno doveva era accantonato per la semina futura e solo ciò che rimaneva era impiegato per
l'alimentazione. Gli altri cereali come orzo, segale, avena e miglio davano un rendimento superiore e perciò il pane dei
contadini quasi mai era di frumento.
Agricoltura di sussistenza. Occorre ribadire che la curtis medievale non era più l'antico latifondo romano coltivato da
schiavi per rifornire il mercato della più vicina città, e neppure la moderna azienda agricola fondata sul profitto e quindi
sull'impiego del minor numero di addetti al lavoro agricolo: la curtis era una comunità mirante alla sopravvivenza e alla
propria difesa in una società che sapeva di non poter contare su aiuti esterni. Esistevano terreni appartenenti a liberi
(allodi) sui quali il proprietario aveva dominio pieno, ma la necessità della difesa suggeriva di mettere al riparo dai potenti
quei poderi cedendo la proprietà a un convento o a una chiesa, per riceverli sotto forma di dominio utile per sé e per i
discendenti, in cambio di un piccolo canone a favore del convento o della chiesa, il cui patronus o advocatus poteva
difendere con maggiore speranza di successo quelle terre. I liberi proprietari, perciò, diminuirono e la terra finì per
appartenere, in senso pieno, solo ai nobili e agli ecclesiastici che fornivano un diverso grado di protezione: più efficace,
ma anche più pericolosa, quella dei nobili. La società feudale conosce perciò solo due categorie: cavalieri e contadini
legati tra loro in molteplici rapporti disciplinati e mitigati dall'annuncio di un messaggio di salvezza che andava oltre la
vita presente da parte dei sacerdoti.
La cultura. Il clero era l'unica fonte di cultura: la liturgia, il canto sacro, la predicazione erano il solo diversivo al lavoro,
il quale peraltro non aveva i ritmi frenetici del lavoro attuale, essendo molto duro solo al tempo della semina e del
raccolto: se l'annata agraria era soddisfacente e non c'era il pericolo di carestia, se non avvenivano razzie, tutti potevano
dichiararsi felici perché a quei tempi bastava sopravvivere.
Il regime feudale. Riassumendo si può affermare che il regime feudale è caratterizzato da tre processi: a) degradazione e
frantumazione della categoria degli uomini liberi perché la legge non offriva alcuna protezione a chi non era inserito in
una classe "riverita e forte", ossia ogni junior ricercava la protezione di un senior; b) nascita di un'aristocrazia fondiaria
che ricavava il necessario per vivere dal lavoro di numerose persone alle quali occorreva fornire la difesa dai nemici
esterni mediante un valido rapporto con l'autorità centrale, vertice della piramide feudale; c) formazione di una massa di
semiliberi ampia e diversificata a seconda del contratto che ciascuno aveva stipulato col senior. La solidarietà orizzontale
con gli altri appartenenti alla propria categoria era infruttuosa perché incapace di offrire protezione in collegamento al
livello superiore.
Beneficio, immunità, vassallaggio. Poiché il feudalesimo era un regime contrattuale, sorse una complicata
giurisprudenza che offuscò in Occidente il diritto romano, rinato solo alcuni secoli più tardi in concomitanza con la
vigorosa ripresa dell'economia di mercato e con la rinascita delle città libere che avevano bisogno di ordinamenti estranei
al diritto feudale.
Beneficio. Col termine "beneficio" si intendeva la cosa oggetto del contratto tra un concedente che vantava un titolo
valido sulla cosa data in uso al concessionario: poteva trattarsi di un grande territorio o anche solo di uno stagno pescoso
o di un casello daziario. La proprietà piena rimaneva al concedente che, in genere, ritornava in possesso della cosa
concessa alla morte del concessionario. Ma fin dall'877 il capitolare di Quierzy stabiliva il principio secondo il quale i
feudi maggiori, in caso di morte del concessionario al servizio del re, passavano di diritto al primogenito del defunto: ciò
significa che il potere dei grandi feudatari era divenuto ampio e che solo con tale concessione era possibile contare sulla
loro fedeltà. In seguito i nobili riuscirono a ottenere che anche gli altri parenti, fino al sesto grado, potessero ereditare il
beneficio: in pratica il caso di devoluzione diveniva raro, tranne in caso di fellonia, quando il re faceva guerra al vassallo
ribelle e lo vinceva in regolare combattimento. Solo molto più tardi l'imperatore Corrado II il Salico rese ereditari anche i
feudi minori (Constitutio de feudis, 1037) riuscendo così a fiaccare il potere dei feudatari maggiori divenuti pressoché
indipendenti dal governo centrale.
Immunità. Per permettere il godimento del dominio utile il re doveva concedere l'immunità della cosa offerta dalla
giurisdizione superiore: in altre parole, il re rinunciava a far valere i diritti sovrani sul territorio concesso in feudo, in
primo luogo la sua potestà giudiziaria, poi la facoltà data al vassallo di coniare monete con la propria effige e di arruolare
soldati. Alcune clausole stabilivano quando e con quale seguito il re poteva attraversare il territorio concesso in feudo.
L'immunità dalla giurisdizione del superiore di grado è l'elemento che rende estraneo alla nostra mentalità il regime
feudale: esso non fu solo un decentramento amministrativo bensì un decentramento politico, l'abdicazione del re ai suoi
poteri sovrani.
Vassallaggio. Infine, con vassallaggio si intendono le prestazioni che il concessionario si impegna a rendere al re in
cambio del beneficio ricevuto. Anche in questo caso il diritto feudale divenne complesso. Il vassallo si impegnava ad
accorrere in difesa del signore in caso di guerra "giusta". Questo aggettivo si prestava a un contenzioso enorme: non si
riuscì mai a stabilire quale guerra fosse giusta, se la guerra doveva apparire giusta alla valutazione soggettiva dei vassalli.
Costoro, infatti, giudicavano quasi sempre ingiusta la guerra del re contro uno di loro, e perciò ottennero che un tribunale
di pari giudicasse l'operato del ribelle: solo dopo una sentenza di colpevolezza in qualche modo emanata da loro stessi
scattava il casus di guerra giusta contro il ribelle pertinace.
Il patto feudale. Il servizio militare fuori del proprio feudo per una guerra giusta fu limitato alla durata di quaranta giorni,
in capo ai quali il vassallo dichiarava di aver esaurito per quell'anno i propri doveri verso il re e tornava a difendere il
proprio territorio. Un altro caso sempre contemplato dal vassallaggio era di contribuire al riscatto del re caduto
prigioniero dei nemici. Quando si dava tale situazione si poteva esser sicuri che i vassalli iniziavano trattative che
potevano durare anni, senza fretta, essendo per essi una situazione ideale il non avere per qualche tempo alcun diretto
superiore. Un terzo caso contemplato dal vassallaggio era il donativo ordinario quando i vassalli si recavano a corte, in
genere una volta all'anno, e quello straordinario in caso di matrimonio del re o del primogenito: il donativo doveva essere
proporzionato all'entità del beneficio ricevuto e si traduceva in pratica in un'esazione fiscale operata dal vassallo sui
propri sudditi a favore del senior.
La guerra. Il regime feudale si fondava su rapporti personali e perciò ogni decisione politica diveniva complessa. Anche
il raduno di un esercito feudale era un avvenimento complicato: ogni reparto giungeva sul luogo di raduno accampandosi
in un determinato settore secondo un rigoroso ordine gerarchico. Le truppe obbedivano solo al proprio comandante che
accettava ordini solo se era d'accordo. La suscettibilità, le sfide, le accuse reciproche erano abituali. L'efficienza bellica
delle truppe feudali era ridotta. Le guerre contro i vichinghi erano combattute solamente se gli attaccanti passavano sul
proprio territorio, perché i danni inferti agli altri vassalli o al re apparivano un accrescimento della propria potenza. Già
sotto gli ultimi Carolingi gli eserciti risultarono formati solo da cavalieri rivestiti di armatura completa su cavalli pesanti,
anch'essi bardati di ferro, una tattica inadeguata contro la cavalleria leggera dei Saraceni, dei Magiari e dei Normanni che
preferivano la mobilità.

norma 1996

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Messaggioda giada » 21 gen 2013, 8:20

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Messaggioda aleeeee bacucca » 16 nov 2013, 18:43

Partiamo dalle origini del feudalesimo e dai caratteri principali.

Dopo le invasioni barbariche, venuto meno il commercio, l'economia europea tornò ad essere alquanto primitiva. La sola attività economica era l'agricoltura. Coloro che coltivavano i campi vennero detti servi della gleba. La parola gleba é di origine latina e vuol dire terra. Il servo della gleba era un contadino : non era più un oggetto di proprietà privata( come lo schiavo nel mondo antico) ma non era neppure molto libero. Se infatti il signore vendeva la sua proprietà, anche i servi passavano al nuovo padrone. Perciò parliamo di servi della gleba come di persone fortemente vincolate alla terra. La condizione dei servi della gleba era difficile. Le carestie e le epidemie erano frequenti. Talvolta, in questi casi, il signore aiutava i suoi contadini distribuendo loro cibo. Inoltre in caso di pericolo i servi potevano rifugiarsi nel castello. A partire dalla metà del IX secolo furono costruiti moltissimi castelli in Italia, Francia e Germania. Questo fenomeno é detto incastellamento.
Il mondo medievale era pieno di pericoli e lo Stato non garantiva nessuna protezione. Vi era la necessità di difendersi dai predoni e dagli attacchi dei signori rivali. Questa condizione spinse molti uomini liberi a cercare protezione presso qualcuno più potente di loro. Il debole si raccomandava al forte, cioé al suo signore. E il forte ne aveva un vantaggio : poteva disporre di uomini a lui sottomessi che poteva utilizzare in caso di guerra. I re e gli imperatori iniziarono a premiare quei cavalieri più valorosi che con un giuramento si legavano a loro. Il premio consisteva in un territorio da governare, chiamato inzialmente beneficio, e dopo il Mille, feudo. Esso veniva assegnato nel corso di una solenne cerimonia chiamata investitura. Il cavaliere, denominato vassallo, giurava fedeltà ed obbedienza al suo signore mettendosi in ginocchio di fronte a lui. In questo modo gli rendeva omaggio, lo riconosceva quindi come suo superiore. Dopo il suo giuramento, il signore investiva, cioé assegnava il feudo al vassallo, che diventava così suo feudatario. Da quel momento il vassallo doveva obbedienza e aiuto militare al suo signore. In cambio, il signore lo proteggeva con tutta la forza militare cui disponeva. Il feudatario poteva diventare un feudo troppo grande in più parti più piccole, per darle a sua volta in feudo a uomini che gli giuravano fedeltà, detti valvassori. La stessa cosa,poi, potevano fare i valvassori con altre persone, i valvassini. Il vassallo riceveva, insieme al feudo, alcuni privilegi, detti immunità:
- il diritto di governare il territorio a lui assegnato con tutti i loro abitanti
- il diritto di riscuotere le tasse
- il diritto di amministrare la giustizia.
L'aiuto militare che il vassallo dava al suo signore era comunque molto impegnativo perché bisognava abbandonare le proprie terre per tutto il tempo della guerra, o in casi piccoli, di battaglie.
Inoltre si combatteva a cavallo ( da qui proviene la parola cavaliere) ma i cavalli ben addestrati e le armature costavano tantissimo.
Il vassallo traditore veniva privato del suo feudo, di ogni immunità e combattuto come un nemico.

aleeeee bacucca

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