Il sacrificio per la patria

Complures pro patriae salute se ipsos devoverunt Horatii trigemini qui adversus Curiatios de summo imperio ...

Parecchi (uomini) sacrificarono sé stessi per la salvezza della patria. I tre fratelli gemelli Orazi, che per l'egemonia si scontrarono contro i Curiazi.

I trecento Fabii, i quali erano tutti di stirpe patrizia, e chiesero per sé la guerra contro Veio. Muzio Scevola, che mise le mani sulle fiamme. Orazio Coclite, il quale, dopo che i compagni tagliarono il ponte alle sue spalle, si gettò armato nel Tevere. I trecento agli ordini di Calpurnio, contro i Cartaginesi, i quali, nello stretto di Sicilia, con la loro morte, salvarono l'esercito del popolo Romano, ed eguagliarono pienamente la gloria dei trecento Spartani alle Termopili.

I due Deci, dei quali, l'uno nella guerra Latina, l'altro nella guerra Sannitica, si immolarono agli dèi Mani. Il pontefice Fabio, il quale, nella città incendiata dai Galli Senoni, immolò se stesso e gli altri anziani agli dèi Mani. Regolo, che preferì affrontare le torture dei Cartaginesi, che mancare di rispetto ad un giuramento.

Spurio Postumio, il quale, mandato insieme all'esercito sotto il giogo da Ponzio Telesino, comandante dei Sanniti, violò il patto e si arrese ai nemici. Il pontefice Gaio Metello, che trasse fuori dal tempio di Vesta in fiamme la statua del Palladio, e perse gli occhi.

Versione tratta da: Ampelio

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