La plebe in rivolta

In haec dixit, ut plebi suaderet ne in seditione nefaria ac omnibus damnosa perseverarent...et illis auxilii latio adversus consules esset, neve patribus capere eum magistratum liceret. (da Livio)

Parlò in questi termini, per convincere la plebe a non perseverare in una sedizione scellerata e dannosa per tutti:

in quel periodo nel corpo degli uomini tutte le membra (le membra di ogni parte) non si accordavano in una sola, come accade ora, ma ognuna possedeva il proprio principio, il proprio discorso, nelle singole parti, le rimanenti elevavano le lamentele con la propria sollecitudine, con il proprio impegno e la propria funzione erano in verità tutte a disposizione del ventre, che gioiva al centro tranquillo, ozioso una volta offerti i piaceri. Perciò si accordarono affinché le mani non conducessero le pietanze alla bocca, né la bocca accettasse ciò che le veniva offerto, né i denti sminuzzassero quelle pietanze che ricevevano.

una volta che si mosse tale ira, mentre pensavano di domare il ventre con la fame, le stesse membra insieme e tutto il corpo giunsero all'estremo indebolimento. Da ciò fu evidente che c'era anche una funzione per nulla lenta del ventre, per il fatto che quello non solo è alimentato, ma alimenta anche tutte le altre parti: infatti, sminuzzato il cibo, per vivere ed essere tutti vigorosi, fornisce il sangue che si divide ugualmente in tutte le parti del corpo attraverso le vene. Questa sedizione interna del corpo è simile all'ira della plebe verso i senatori.

Con questa favola Menenio piegò le menti degli uomini e ricordò di agire conformemente alla concordia: fu concesso in verità tra le condizioni che anche i plebei fossero magistrati sacrosanti e che ci fosse il diritto di portare aiuto contro i consoli, e che non era lecito prendere tale magistratura dai senatori. (by Maria D. )

Testo latino completo

Altra proposta di traduzione

Sembrò bene all’oratore di mandare verso la plebe Menenio Agrippa eloquente fra gli uomini e apprezzato dalla plebe perché era discendente di quel ceto. Queste cose egli disse per convincere la plebe a che non continuassero nella rivolta scellerata e dannosa per tutti:

«Nel tempo in cui nel corpo umano non tutti gli organi erano d’accordo sull’unità, come ora accade (accĭdo, is, cĭdi, ĕre), ma che ai singoli organi fosse data la propria autonomia in singole parti, (questa) era la propria argomentazione, le restanti sollevavano obiezioni per la loro fatica, il loro lavoro a favore dello stomaco, mentre lo stomaco in verità, placido nel mezzo (del corpo), godeva ozioso dei piaceri che gli erano forniti.

Si accordarono perciò che le mani non portassero il cibo alla bocca, né che la bocca accettasse il cibo datogli, né che i denti masticassero le cose che ricevevano. A causa di questo scontento, mentre pensavano di debellare la fame dello stomaco, le singole membra e tutto il corpo si trovarono in grave deperimento. Perciò apparve chiaro, anche se con lentezza, quale fosse il compito dello stomaco il quale non solo viene nutrito (ălo, is, ălŭi, altum o ălĭtum, ĕre), ma che nutre anche gli altri:

infatti, elaborato il cibo, perché tutti possiamo vivere e rinvigorirci, per mezzo delle vene in tutte le parti del corpo porta il sangue arricchito del cibo». Con questo apologo Menenio convinse le menti degli uomini e ammonì che agissero in concordia.

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