Fetonte

Venit olim Phaeton, Phoebi filius, ad patris regiam et regium currum a patre petiit...

Un giorno Fetonte, figlio di Febo, andò alla reggia del padre e chiese al padre il carro regio.

Febo, preoccupato, concesse il carro al figlio. Il ragazzo prende il carro e, con le mani, regge le redini leggere, e ringrazia l'agitato genitore. Frattanto i cavalli alati del Sole colmano i cieli di nitriti infuocati, e spiccano il volo. D'improvviso, però, si agitano e lasciano il percorso solito, e corrono senza alcuna direzione. Il ragazzo ha paura, trattiene le redini, i cavalli però dirottano la corsa. Appena, anzi, lo sfortunato Fetonte dalla sommità del cielo guardò in basso la terra (lett. : "le terre") impallidì, e subito le ginocchia tremarono per il terrore. Folle per la paura, lasciò le redini. Allora i cavalli corrono per i cieli di una regione sconosciuta, e si precipitano senza freno là dove foga li ha spinti e, sotto l'alto etere, muovono incontro alle stelle fisse e trascinano il carro attraverso spazi inesplorati, ed ora si dirigono verso le massime altezze, ora si accostano alla terra.

Le nuvole incendiate fumicano, il suolo brucia, i pascoli si disseccano, gli alberi ardono assieme alle fronde: grandi città con le mura bruciano, e gli incendi riducono in cenere intere popolazioni; le foreste avvampano insieme ai monti. Ma a quel punto Fetonte vede il mondo riarso da ogni parte, e non tollera così grandi vampate, ed è avviluppato da ogni lato dal caldo fumo, ed è trascinato dalla volontà dei cavalli alati. Ma Giove, padre onnipotente, con la mano destra lanciò una saetta contro l'auriga.

I cavalli si spaventano e abbandonano le redini strappate: da un lato giacciono le briglie, da un altro i raggi delle ruote fracassate, e per un largo spazio stanno sparpagliati i resti del carro dilaniato. Fetonte si ribalta nel vuoto e precipita dal cielo per un lungo tratto. Il padre Febo nasconde allora il volto, contratto dal dolore. La madre, in lutto e folle, percorse il mondo intero, andando in cerca delle membra senza vita.

Versione tratta da: Ovidio

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