La metamorfosi di Io
Cum Peneus fluvius filiam quae in laurum a Phoebo mutatur in antro deserto luget...
Mentre il fiume Peneo, in una grotta disabitata, piange la figlia, che è stata trasformata in alloro da Apollo, tutti gli altri fiumi della Tessaglia accorrono in quel luogo, ed offrono conforto allo sventurato.
Il solo Inaco è assente, e, nascosto nel profondo di una grotta, con le lacrime fa aumentare le acque, e piange la figlia Io, che non trova in nessun luogo e considera perduta. Io ritorna tranquilla al fiume suo padre, quando Giove la vede da sola in strada ed esclama: Giovane fanciulla, degna di un dio, ricerca l'ombra delle fitte foreste, mentre c'è caldo ed il sole è eccessivamente alto nel cielo.
Se hai paura ad entrare da sola nei nascondigli degli animali selvatici, entra nei boschi, anche se oscuri, sicura grazie alla protezione di un dio: e non sono un dio qualsiasi, impugno i grandi scettri celesti e scaglio i mobili fulmini. Resta! Ma ormai la fanciulla timorosa fuggiva. Allora Giove, per mezzo di un'ampia nube nasconde le terre, blocca la fuga della fanciulla, e ne vince la pudicizia. Nel frattempo Giunone, dalla vetta dell'Olimpo, abbassa gli occhi verso i campi, e vede la densa nube al di sotto del cielo sereno.
Allora, sospettosa (conosce bene i tradimenti del marito) si guarda intorno, e non trova il dio in tutto il cielo. Così, dall'Olimpo, scende sulla Terra, e disperde le nubi, ma Giove si rende conto della presenza della moglie, e, senza perdere tempo, trasforma la fanciulla amata in una giovenca bianca.
Versione tratta da: Ovidio