La natura non ama nulla di solitario

Cicerone latino italiano per triennio
Incipit: Quin etiam si quis asperitate ea est ...

Anzi se qualcuno fosse di indole così intrattabile e scostante per natura, tale da rifuggire e da disdegnare il rapporto umano, come abbiamo appreso che fosse stato ad Atene un tale Timone, (non so chi) che non conosco, tuttavia egli non sarebbe in grado di astenersi dal cercare qualcuno verso il quale riversare il veleno della propria acredine. E ciò si comprenderebbe molto di più, se ci potesse capitare qualcosa di simile, e cioè, che un dio ci sottraesse da questo contatto umano e ci ponesse in qualche luogo solitario, e qui, fornendoci abbondanza e quantità di tutto ciò che la natura richiede, ci privasse completamente della possibilità di vedere altri uomini.

Chi mai sarebbe quell'uomo tanto resistente, da poter sopportare quel genere di esistenza, alla quale la solitudine non sottraesse il frutto di ogni piacere? E dunque vero, come credo, ciò che ho sentito ricordare dai nostri vecchi, che l'avevano saputo da altri vecchi, e che il tarantino Archita era solito ripetere: "Se qualcuno fosse salito in cielo e avesse contemplato la natura del mondo e la bellezza delle stelle, quella mirabile visione che sarebbe stata molto piacevole se avesse avuto qualcuno a cui raccontarla, a lungo andare gli risulterebbe sgradita". Così la natura non ama nulla di solitario e sempre si appoggia ad una sorta di sostegno, che è ancora più dolce (negli amici più cari) quanto più caro è l'amico.

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