BELLVM PVNICVM SECVNDVM Reditus Hannibalis atque clades

Livio Lingua latina per se illustrata
Inizio: Nihil ultra rei in Italia ab Hannibale gestum. ... Fine: Primus hic imperator nomine victae ab se gentis est nobilitatus

Niente oltre queste cose fu attuato da Annibale in Italia. Arrivarono infatti anche da lui ambasciatori per richiamarlo a Cartagine in Africa per caso in quei giorni in cui li inviarono (anche) da Magone.

Si racconta che avesse udito le parole degli ambasciatori digrignando i denti, lamentandosi e trattenendo a stento le lacrime. Dopo che le disposizioni gli furono annunciate, disse "E quindi vince Annibale non il popolo romano, tante volte ucciso e messo alla fuga, ma il senato cartaginese, con denigrazioni ed invidia. E non sarà tanto Scipione a gioire e a trarre vanto d alla vergogna di questa mia ritirata, quanto Annone che ha devastato il mio casato rovinando Cartagine, perché in un altro modo non gli era stato possibile". Raccontano che raramente qualcun'altro, lasciando per ragione di esilio la patria, partisse con tanta tristezza con quanta Annibale, lasciando la terra nemica; e che spesso si volgesse a mirare le spiagge dell'Italia, accusando gli dei e gli uomini, e sé stesso e maledicendo la sua ostinazione, "perché, dopo la vittoria di Canne, non aveva portato subito a Roma il soldato sporco del sangue romano. Scipione, che da console non aveva mai visto in Italia un soldato cartaginese, aveva osato andare a Cartagine - ed egli, (pur) avendo massacrato al Trasimeno ed a Canne 100 mila armati, non aveva fatto altro che logorarsi invecchiando nei dintorni di Casilino, di Cuma e di Nola. Così accusandosi e rammaricandosi di ciò, fu sottratto a forza dal lungo possesso dell'Italia. .[...] Nell'anno 16edicesimo (dall'inizio della seconda guerra punica) Annibale dopo aver lasciato l'Italia finì il tragitto verso l'Africa, e cercò, attraverso un abboccamento, di concludere la pace con Scipione, ma poiché non si era trovato d'accordo sulle condizioni di pace, venne sconfitto in battaglia. .[...] Quel giorno furono uccisi più di 20 mila cartaginesi e i loro alleati; un numero all'incirca simile fu catturato con 143 insegne militari, e 11 elefanti. Dalla parte dei vincitori morirono 1500 uomini. Annibale, sfuggito dalla mischia con pochi cavalieri, si rifugiò ad Adrumeto, dopo aver tentato di tutto, sia prima della battaglia, sia durante il combattimento, prima di sottrarsi dal combattimento.

Poi ritornato a Cartagine, 36 anni dopo che era da li era partito fanciullo, dichiarò nel senato di aver perso non solo la battaglia, ma anche la guerra, e che la speranza di salvezza non doveva essere raggiunta in altro modo che con la pace. Allora, provenienti da Cartagine, 20 ambasciatori si incontrarono con Scipione. Durante la consultazione, sebbene un legittimo risentimento stimolasse tutti a distruggere Cartagine, tuttavia - considerando quanto grande fosse l'impresa, e quanto lungo sarebbe stato l'assediare una città cosi munita e così forte - tutti gli animi furono rivolti alla pace. Richiamati il giorno successivo gli ambasciatori, vennero elencate le condizioni di pace, e cioè che vivessero liberi con le loro leggi: 'che mantenessero quelle città e quei territori che avevano posseduto prima della guerra; che restituissero ai Romani tutti i disertori, fuggitivi ed i prigionieri, che consegnassero tutte le navi rostrate ad eccezione di dieci triremi e gli elefanti che avevano ammansito e che non ne domassero altri, che non combattessero in Africa né fuori dall'Africa senza un benestare dei Romani; che restituissero i beni a Massinissa e che stipulassero con lui un trattato di alleanza, che pagassero diecimila talenti d'argento dividendoli in rate uguali in cinquant'anni; che consegnassero cento ostaggi'. Quando gli ambasciatori, rientrati in patria, invitati a riferire queste condizioni, le esposero durante un'assemblea, Annibale si dilungò a parlare della pace 'che non era ingiusta e che era necessaria'. Dopo che gli ambasciatori ritornarono da Scipione, ai Cartaginesi venne concessa una tregua per la durata di tre mesi. Fu aggiunto che durante il periodo della tregua non inviassero ambasciatori in nessun'altro luogo che a Roma. Quando gli ambasciatori romani dall'Africa erano tornati a Roma con quelli cartaginesi, il Senato decretò che P. Scipione stipulasse la pace con i Cartaginesi alle condizioni che riteneva più opportune.

Congedati da Roma i Cartaginesi, essendo giunti in Africa da Scipione, conclusero la pace alle condizioni di cui si è detto in precedenza. Consegnarono le navi lunghe, ali. Congedati da Roma i Cartaginesi, essendo arrivati in Africa da Scipione, stipularono la pace a quelle condizioni di cui si è detto in precedenza. Consegnarono le navi lunghe, gli elefanti, i disertori, i fuggitivi e quattromila prigionieri. Ordinò di incendiare le navi portandole in mare aperto; tramandano che fossero state cinquecento di ogni tipologia di quelle che andavano a remi, e che l'incendio delle quali, visto all'improvviso, 'fosse stato spettacolo tanto lugubre per i Cartaginesi quanto se bruciasse Cartagine stessa'. Quarantanni prima era stata stipulata l'ultima pace con i Cartaginesi, sotto il consolato di Q. Lutazio e A. Manlio. Ripresa la guerra dopo ventitré anni, sotto il consolato di P. Cornelio e Ti. Sempronio, fu conclusa dopo diciassette anni, sotto il consolato di Cn. Cornelio e P. Elio. Scipione, assicurata la pace per terra e per mare, imbarcato l'esercito sulle navi, lo trasferì in Sicilia, al capo Lilibeo. Poi, attraversando l'Italia felice per la pace non meno che per la vittoria, giunse a Roma, e fu condotto in città per celebrare il trionfo più celebre di tutti. Versò nelle casse dello stato 123 mila libbre d'argento. Per primo questo comandante venne nobilitato dal nome del popolo che egli aveva sconfitto.

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