REGES ET REGINA Tullia Ferox

Livio Lingua latina per se illustrata

Servius, quamquam iam usu haud dubie regnum possidebat, tamen - quia L. Tarquinius, filius Tarquinii Prisci, dicebat eum iniussu populi regnare ...Cum illo simul iusta ac legitima regna occiderunt

Servio, benché avesse ormai senza dubbio il diritto d'uso del regno, tuttavia - dato che L Tarquinio, figlio di Tarquinio Prisco, affermava che regnava senza il consenso del popolo ebbe l'ardire di domandare al popolo se volevano e disponevano che egli regnasse e con un consenso così grande quanto nessuno prima di lui era stato proclamato re. E quel fatto non diminuì per Tarquinio la speranza di impadronirsi del regno. Infatti era egli un giovane di animo focoso, e a casa la moglie Tullia, figlia del re, sobillava l'animo del marito. Questo L. Tarquinio aveva (lett. aveva avuto) come fratello Arrunte Tarquinio, giovane di indole mite. A loro due, come è stato detto prima, erano state date in sposa due Tullie, figlie del re - ed esse erano di gran lunga di indole differente l'una dall'altra. Superba/orgogliosa la Tullia che era stata maritata ad Arrunte da Tarquinio, mal sopportava di essere da meno del marito in bramosia e coraggio; e ammirava l'altro Tarquinio, diceva che "era un vero uomo" e "nato da sangue reale", disprezzava la sorella che, sposata ad un uomo coraggioso, era priva della stessa audacia; non risparmiava contumelie verbali sul marito verso il fratello, sulla sorella al marito. Rapidamente riempie il giovane con la sua temerarietà. Quando Arrunte Tarquinio e Tullia minore celebrarono un nuovo matrimonio dato che lutti ripetuti avevano svuotato le case, L. Tarquinio e Tullia maggiore si unirono in matrimonio! Proprio in quei giorni la vecchiaia di Tullio peggiorò, ed il regno iniziò a peggiorare. La donna infatti mirava a passare da un delitto ad un altro. Né di giorno né di notte sopportava di dormire con il marito, affinché i passati omicidi non fossero inutili: "Non era venuta meno lei al marito che aveva servito in silenzio - era il marito che aveva mancato, che si riteneva degno del regno, che doveva ricordare di essere figlio di Tarquinio Prisco, che doveva avere, più che sperare, il regno!" "Se tu sei colui colui al quale mi ritengo sposata, e chiamo marito e re: perché non ti dai da fare? Non ti è necessario, da Corinto né dai Tarquini, come a tuo padre, mirare ad impadronirti di regni stranieri. Gli dei Penati ed il ritratto di tuo padre e il palazzo reale ed il trono nella reggia ed il nome Tarquinio creano e chiamano re. 0 se a queste cose è pari l'animo, perché deludi la cittadinanza?Cosa ti impedisce di vederti come giovane re? Ti rendesse da questo momento, ai Tarquini o a Corinto, più simile al fratello che al padre!" Rimproverandolo con queste ed altre parole, istiga il giovane, e neppure lei può trovare riposo se - come Tanaquil, donna straniera, diede due regni di seguito al marito e poi al genero - ella stessa, nata di sangue reale, non poteva né dare né togliere il regno. Istigato da questo furore femminile Tarquinio iniziò a lusingare ed a conciliarsi i padri. A rammentare i benefici di Tarquinio Prisco e chiedere favore per i suoi meriti. Ad allettare i giovani con doni. Nel mentre prometteva cose mirabolanti, contemporaneamente crescevano per ogni dove i crimini regi. Alla fine, quando ormai sembrò giunto il tempo di agire, irruppe nel foro circondato da una schiera di armati. Quindi, spaventati tutti con la paura, sedendo nella casa regia davanti alla Curia, ordinò che fossero convocati a forza i padri nella Curia per mezzo di un banditore "presso il re Tarquinio". Si riunirono immediatamente, alcuni già da prima preparati a ciò, altri costretti con la paura e già convinti della decadenza di Servio. Ivi Tarquinio cominciò a maledire Servio: " Nato da uno schiavo e da una schiava, dopo l'indegna morte del suo genitore, non avendo dato inizio all'interregno (come in precedenza), non avendo tenuto i comizi, non per votazione del popolo, non con il consenso dei senatori, occupò il regno per dono di una donna. Nato in questo modo, in questo modo creato re, sostenitore di uomini di infima condizione, essendo egli della stessa, divise le campagne strappate ai nobili con chiunque fosse della peggior lega...". Quando Servio intervenne in mezzo a questo discorso, spintovi da un messo timoroso, subito disse a gran voce dal vestibolo della Curia: "Cos'è questa cosa di Tarquinio? Con quale sfrontatezza tu, essendo io ancora vivo, hai osato convocare i senatori e sederti al mio posto?". Quando egli con arroganza rispose a queste parole "Che teneva il seggio di suo padre: che era molto meglio che fosse erede del regno un figlio di re che uno schiavo; che quello si era preso gioco abbastanza a lungo dei padroni con l'inganno" - scoppiò un baccano fra i fautori di ambedue le fazioni ed avveniva un accorrere di gente nella Curia.

Allora Tarquinio, già messo alle strette e costretto a ricorrere ai mezzi estremi, essendo molto più forte e per età e per vigore, afferrò in mezzo Servio e trascinatolo fuori dalla Curia, lo scaraventò in basso per i gradini! Quindi tornò nella Curia per sopraffare il Senato. Avvenne la fuga dei compagni del re. Lo stesso, quando si rifugiò mezzo morto in casa senza il seguito regio, fu ucciso da coloro che mentre fuggiva erano stati mandati da Tarquinio a seguirlo. Si crede - perché non è in contrasto con l'altro delitto - che ciò fu fatto per istigazione di Tullia. Montata su di una carrozza (ciò di cui si è sufficientemente certi) nel foro chiamò fuori il marito dalla Curia, e per prima lo chiamò "re". Quando se ne tornò a casa da un così grande tumulto ed ebbe raggiunta la sommità del vico Ciprio, si fermò spaventato il conducente della giumenta e mostrò alla padrona Servio che giaceva a terra trucidato! Si racconta quindi un terribile e disumano delitto: è riportato che la carrozza fu fatta passare da Tullia sul corpo del padre, e che portasse il veicolo insanguinato da parte del sangue e dell'omicidio del padre ai suoi Penati ed a quelli di suo marito!.

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