Ceterum ut humanae virtutis actum exequamur cum Hannibal Capuam in qua ...

Ed ora, al fine di indagare un atto di valore umano: mentre Annibale assediava Capua, dove si trovava l'esercito Romano, Vibio Accao, comandante di una coorte Peligna, scagliò un vessillo oltre la palizzata Cartaginese, maledicendo se stesso e i suoi commilitoni, se i nemici si fossero impadroniti di quella insegna, poi, per riconquistarla, fece irruzione per primo, seguito dalla coorte. Quando il tribuno della terza legione, Valerio Flacco, vide la cosa, disse rivolto ai suoi: "Come vedo, siamo venuti qui in qualità di spettatori dell'altrui valore, ma possa essere lontano dal nostro sangue codesto disonore, il fatto che noi Romani vogliamo risultare inferiori ai Latini quanto a gloria.

Io senza dubbio, poiché desidero una morte gloriosa o il successo di un gesto di coraggio, sono pronto a correre all'assalto anche da solo". Ascoltate queste parole, il centurione Pedanio, impugnando con la mano destra l'insegna lacerata disse: "Ora questa (insegna) starà insieme me all'interno della palizzata nemica: perciò mi seguano quanti non vogliono che essa sia presa (dal nemico)", e con essa irruppe nell'accampamento dei Cartaginesi, e si trascinò dietro tutta la legione.

Così, l'audacia di tre eroi non tollerò che Annibale, poco prima in cuor suo già padrone di Capua, restasse padrone neppure del proprio accampamento.

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