Avere dignità di fronte al dolore (Lexis e littera litterae)

Avere dignità di fronte al dolore
Autore: Seneca
Lexis 2 ediz. blu n. 2 pag. 53 / Littera ae 2 c n. 5 pg. 303

In hoc ita flectendi sumus, ut omnia vulgi vitia non invisa nobis, sed ridicula uideantur, et Democritum nos iuvet potius quam Heraclitum: hic enim, quotiens in publicum processerat, flebat, ille ridebat; huic omnia quae agimus miseriae, illi ineptiae uidebantur.

Eleuanda ergo omnia et facili animo ferenda sunt: humanius est deridere uitam quam deplorare, humanum quoque genus melius adiuvat qui ridet illud quam qui luget: ille aliquid sperat, hic autem stulte deflet quae corrigi posse desperat. Satius autem est publicos mores et humana uitia placide accipere nec ea ridere nec nimis flere: nam aliena mala dolere aeterna miseria est, alienis malis gaudere uoluptas inhumana. In suis quoque oportet sapientem ita se gerere ut dolori tantum det quantum natura poscit, non quantum consuetudo. Plerique enim lacrimas fundunt ut ostendant, et totiens siccos oculos habent, quotiens spectator defuit, turpe iudicantes non flere quae omnes fleant.

Etiam res simplicissima, dolor, venit in simulationem
In questa cosa (in ciò) dobbiamo essere persuasi in modo che tutti i vizi del popolo ci sembrino non odiosi, ma ridicoli, e che a noi sia più gradito Democrito che Eraclito: infatti questo, ogni volta che si mostrava in pubblico, piangeva, quello rideva; a questo tutte le cose che noi facciamo sembravano miserie, a quello sciocchezze. Perciò dobbiamo alleviare e sopportare ogni cosa con animo sereno: è più umano deridere la vita che, e perciò è più utile al genere umano colui che lo deride piuttosto che colui che lo piange: quello spera in qualche cosa, questo invece stoltamente si lamenta delle cose che dispera che possano essere corrette.

Infatti è sufficiente accettare tranquillamente i costumi pubblici e i vizi umani e non deriderli né troppo : infatti dispiacersi dei dolori altrui è un’eterna angoscia, godere dei mali altrui è una gioia inumana. Anche nelle proprie disgrazie è necessario che il saggio si comporti in modo tale da concedere al dolore quanto la natura richiede, non quanto la consuetudine. Infatti i più piangono per far vedere, e tutte le volte che manca lo spettatore hanno gli occhi asciutti, ritenendo turpe non ciò che tutti piangono. Anche la cosa più semplice, il dolore, viene finto.

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