Un esempio della clemenza di Alessandro Magno - LITTERA LITTERAE - Versione latino Curzio Rufo

Ex captivis Sogdianorum ad regem XXX nobilissimi corporum robore eximio perducti erant. Qui ut per interpretem cognoverunt iussu regis ipsos ad supplicium trahi, carmen laetantium modo canere, tripudiisque et lasciviori corporis motu gaudium quoddam animi ostentare coeperunt.

Admiratus est rex tanta magnitudine animi oppetere mortem, revocari eos iussit, causam tam effusae laetitiae, cum supplicium ante oculos haberent, requirens. Illi, si ab alio occiderentur, tristes morituros fuisse respondent; nunc a tanto rege, victore omnium gentium, maioribus suis redditos honestam mortem, quam fortes viri voto quoque expeterent, carminibus sui moris laetitiaque celebrare. Tum rex admiratus magnitudinem animi: "Quaero", inquit, "an vivere velitis non inimici mihi, cuius beneficio victuri estis?" Illi nunquam se inimicos ei, sed bello lacessitos se inimicos hosti fuisse respondent: si quis ipsos beneficio quam iniuria experiri maluisset, certaturos fuisse, ne vincerentur officio. Interrogantique, quo pignore fidem obligaturi essent, vitam quam acciperent pignori futuram esse dixerunt; reddituros quandoque repetisset. Nec promissum fefellerunt. Nam, qui remissi domos erant, fide continuere populares; quattuor inter custodes corporis retenti nulli Macedonum in regem caritate cesserunt.


Erano stati tradotti dal re trenta dei più nobili prigionieri dei Sogdiani, di eccezionale gagliardia fisica. Essi, quando attraverso un interprete vennero a sapere che per ordine del re erano portati al supplizio, cominciarono ad intonare un canto come chi è gioioso, e con danze e movimenti alquanto lascivi del corpo ad esternare una sorta di allegria dell’animo. Il re si meravigliò che andassero incontro alla morte con tanta grandezza d’animo, li fece richiamare, chiedendo il motivo di tanta incontenibile letizia, pur avendo il supplizio davanti agli occhi. Quelli risposero che sarebbero morti tristi, se fossero uccisi da un altro; ora invece, restituiti ai propri avi da un re così grande, vincitore di tutte le genti, celebravano con canti della propria usanza e con letizia una morte dignitosa, che gli uomini valorosi chiederebbero anche con preghiere. Allora il re, ammirato per la loro forza d’animo, disse: “Vi domando se volete vivere non ostili a me, per la grazia del quale vivrete.

” Essi risposero che non erano mai stati ostili a lui, ma che, costretti alla guerra, erano diventati ostili al nemico: se qualcuno avesse preferito metterli alla prova con un atteggiamento amichevole piuttosto che ostile, avrebbero combattuto per non esser superati in generosità. E poiché li interrogò con quale pegno avrebbero garantito la loro fedeltà, dissero che il pegno sarebbe stato la vita che ricevevano; e quando lui l’avesse richiesta, gliela avrebbero restituita. E non vennero meno a quanto promesso. Infatti, coloro che erano stati rimandati alle loro case, tennero a freno con lealtà i loro concittadini; quattro, arruolati tra le guardie del corpo, non furono inferiori a nessuno dei Macedoni nella devozione al re.

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