Ibi ingens hostium exercitus occultus itinera insederat et postquam vidit Romanos ...

In quel luogo, un numeroso esercito dei nemici si era posizionato, nascosto, nei sentieri, e, dopo che ebbe visto che i Romani erano entrati nei valichi, spuntato fuori all'improvviso con grida e scompiglio, assalì quelli che non se l'aspettavano.

All'inizio la circostanza imprevista causò spavento, mentre i nostri soldati prendevano le armi e ammassavano le bisacce nel mezzo; poi, appena ciascuno si era liberato dal carico e si era armato, essi (- i soldati Romani) accorrevano da ogni parte verso le insegne, e l'esercito, senza l'ordine di nessuno, si schierava secondo le file già note in base alla lunga esperienza di guerra.

Il console, portatosi dove lo scontro era particolarmente incerto, smontò (presente storico) dal cavallo, e invocò (presente storico) Giove, Marte e gli altri dèi come testimoni del fatto che egli non ricercava alcuna gloria per sé, bensì un bottino per l'esercito e che a lui non potesse essere rimproverato altro che un'eccessiva preoccupazione di arricchire l'esercito. Infervorati da queste parole, i soldati, dimentichi di tutte le difficoltà, avanzarono (presente storico)

verso l'esercito dei nemici situato più in alto. Immediatamente la paura si rovesciò su coloro che avevano teso l'agguato, i quali, sbandati e disarmati, si volsero alla fuga. Vennero uccisi circa ventimila uomini, e l'esercito Romano vincitore si sparse per la razzia del bestiame, offerta dal nemico.

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