Persepoli è incendiata dai macedoni - NEXUS e altri libri - Versione latino Curzio Rufo

Persepoli è incendiata dai macedoni
versione di latino di Curzio Rufo
versione tratta da vari libri latini di testo
Versione da nexus - corso di latino modulare 1

In hanc urbem totius Persidis opes congesserant Barbari: aurum argentumque cumulatum erat, vestis ingens modus, supellex non ad usum, sed ad ostentationem luxus conparata.

Itaque inter ipsos victores ferro dimicabatur: pro hoste erat qui pretiosiorem occupaverat praedam, et, cum omnia quae recipiebant capere non possent, iam res non occupabantur, sed aestimabantur. Lacerabant regias vestes, ad se quisque partem trahentes, dolabris pretiosae artis vasa caedebant, nihil neque intactum erat neque integrum ferebatur, abrupta simulacrorum membra, ut quisque avellerat, trahebat. Neque avaritia solum, sed etiam crudelitas in capta urbe grassata est: auro argentoque onusti vilia captivorum corpora trucidabant, passimque obvii caedebantur, quos antea pretium sui miserabilis fecerat. Multi ergo hostium manus voluntaria morte occupaverunt, pretiosissima vestium induti e muris semetipsos cum coniugibus ac liberis in praeceps iacientes. Quidam ignes, quod paulo post facturus hostis videbatur, subiecerant aedibus, ut cum suis vivi cremarentur.

Tandem Alexander suos corporibus et cultu feminarum abstinere iussit. I Barbari avevano ammassato in questa città le ricchezze di tutta quanta la Persia: vi era accumulato oro e argento, grande quantità di vestiario, suppellettile confezionata non per servirsene, ma per ostentazione di ricchezza. Pertanto tra gli stessi vincitori si combatteva con le armi: chi si era impadronito di un bottino più ricco era considerato alla stregua di un nemico, e, poiché non poteva portar via tutto ciò che aveva arraffato, ormai le cose non venivano razziate, ma soggette a stima. Laceravano le vesti regali, ciascuno tirando a sé una parte, frantumavano con le asce vasellame di squisita fattura, nulla rimaneva intatto né intatto veniva portato via, c’era chi trascinava via membra infrante di statue, così come ciascuno le aveva divelte. E vi fu luogo non solo per la cupidigia nella città espugnata, ma anche per la crudeltà: carichi di oro e di argento trucidavano i corpi senza valore dei prigionieri, e venivano uccisi incontrati a caso, mentre prima li aveva resi degni di compassione la speranza di un riscatto.

Quindi molti prevennero la mano dei nemici con una morte volontaria, abbigliati con le più preziose vesti, buttandosi dalle mura con le mogli e i figli. Alcuni, poiché si credeva che poco dopo l’avrebbe fatto il nemico, avevano appiccato il fuoco alle case, in modo da bruciare vivi assieme ai loro cari. Alla fine Alessandro ordinò ai suoi di tenersi lontano dalle persone e dagli ornamenti delle donne.

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Versione da altro libro

Omnes incaluerant mero: itaque surgunt temulenti ad incendendam urbem, cui armati pepercerant....

Tutti si erano riscaldati per il vino; perciò si alzarono ubriachi per incendiare la città, che in armi avevano risparmiato.

Per primo il re appiccò il fuoco alla reggia, poi i commensali, i domestici e le cortigiane. La reggia era stata costruita con gran quantità di cedro, che, innescato il fuoco, propagò rapidamente l'incendio. Quando l'esercito, che era accampato non lontano dalla città, lo vide, credendolo fortuito, accorse in aiuto. Ma quando si giunse al vestibolo della reggia, videro il re in persona che portava delle torce. Abbandonata dunque l'acqua che avevano portato, iniziarono anch’essi a gettare nell'incendio materiale infiammabile. Questa fine ebbe la reggia di tutto quanto l’Oriente, da cui tante genti dapprima chiedevano leggi, patria di tanti re, un tempo unico terrore della Grecia, dopo aver allestito una flotta di mille navi ed eserciti con cui fu invasa l'Europa, ricoperto il mare con un ponte di navi e traforati i monti, nelle cui caverne fu fatto passare il mare. E non risorse più, nemmeno nel lungo periodo che seguì la sua distruzione. Altre città possedettero i re macedoni, che ora posseggono i Parti: di questa non si troverebbero le tracce, se non le evidenziasse il fiume Arasse. Scorreva non lontano dalle mura: gli abitanti dei dintorni ritengono, più che saperlo per certo, che la città fosse stata distante da lì venti stadi.

I Macedoni si vergognavano che una così splendida città fosse stata distrutta da un re gozzovigliante. Pertanto la cosa fu presa sul serio, e si costrinsero a credere che doveva esser distrutta particolarmente in quel modo. Risulta che egli stesso, appena la calma gli restituì la ragione, dopo esser stato annebbiato dall’ebbrezza, si sia pentito

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