Cicerone esorta Marco Marcello a venire a Roma

Etsi perpaucis ante diebus dederam Q. Mucio litteras ad te pluribus verbis scriptas, quibus ...

M. Cicerone saluta M. Marcello. Anche se pochissimi giorni fa ho affidato a Q. Mucio una lettera per te, scritta esaustivamente, nella quale ho spiegato in quale disposizione di spirito io suggerivo fosse opportuno che tu ti trovassi, e che cosa ritenevo che tu dovessi fare, tuttavia, dal momento che il tuo liberto Teofilo, la lealtà e la dedizione nei tuoi confronti del quale io ho visto chiaramente, sta per partire, non voglio che egli giunga presso di te senza una mia lettera. Pertanto io ti esorto una volta ancora, per mezzo dei medesimi argomenti con i quali ti ho esortato nella lettera precedente, a voler essere presente quanto prima nello Stato, come che esso sia. Vedrai forse molte cose che non vorresti (vedere), tuttavia non più numerose di quelle che senti dire ogni giorno.

Tu stesso però dovrai dire qualcosa che non pensi, o dovrai fare qualcosa che non approvi. Eppure piegarsi alle circostanze, e cioè ubbidire alla necessità, è sempre stato ritenuto proprio dell'uomo saggio.

Forse non sarà consentito dichiarare ciò che pensi, (ma) tacere è sicuramente consentito. Tutte le cose, infatti, sono state affidate ad uno solo. Egli non si serve neppure del parere degli amici, ma (soltanto) del proprio. Questa cosa non si verificherebbe in maniera molto diversa, qualora reggesse lo Stato colui che noi abbiamo seguito.

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