Cicerone scopre il sepolcro di Archimede

Olim dum quaestor Syracusis sum Archimedem insignem illius urbis civem a pulvere excitavi...

Un tempo, mentre ero questore a Siracusa, rinvenni dalla polvere Archimede, insigne cittadino di quella città.

Infatti scovai la sua tomba, sconosciuta ai Siracusani, circondata e coperta da ogni parte da rovi e cespugli. I Siracusani dicevano che essa (= "la tomba") non esistesse affatto, ma io ricordavo i (versi) senari, un tempo incisi sulla sua tomba, secondo i quali, sulla punta della tomba di Archimede, era stata collocata una sfera con un cilindro.

Allora, io osservai tutte le cose con gli occhi e, poco oltre, notai una piccola colonna, non molto sporgente dai cespugli, sulla quale c'era la struttura di una sfera e di un cilindro. E allora, dissi subito ai Siracusani (infatti con me c'erano gli uomini più importanti della città): Ecco quello che cercavo! Molti, precipitatisi con le falci, ripulirono ed aprirono il luogo; quindi ci avvicinammo alla tomba.

In quella era visibile un epigramma quasi dimezzato: quella era la tomba di Archimede. Così, una città dell'illustre della Sicilia apprese da un uomo di Arpino (nota: Cicerone, colui che scrive, era di Arpino, vicino Frosinone), il luogo della tomba di un suo insigne cittadino.

Versione tratta da: Cicerone

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