Cogita nunc nihil profuturum esse dolorem tuum, nec illi quidem quem desideras nec ...
Pensa adesso che il tuo dolore non gioverà a niente, di certo non a colui che tu rimpiangi, e neppure a te. Infatti, se grazie alla nostra tristezza siamo destinati a progredire anche di poco, io non rifiuto che tu versi tutte le tue lacrime;
ma, siccome questo dolore non è destinato ad arrecare niente di buono, non voglio che esso sia troppo lungo, ciò che è vano. Possiamo infatti accusare il destino molto a lungo, ma non possiamo cambiarlo: resta duro e inesorabile; nessuno lo commuove con la protesta, nessuno con il pianto; non risparmia, né perdona mai nulla a nessuno. Dunque risparmiamo le lacrime, che non servono a nulla; codesto dolore, infatti, ci porterà tra coloro che abitano negli inferi più facilmente di quanto riporterà quelli da noi. L'afflizione ci tortura, non ci solleva: pertanto abbandoniamola immediatamente e mettiamo l'animo in salvo da questa sorta diamara brama di dolore.
Pensa inoltre che a nessuno è meno gradito il tuo dolore che al tuo stesso fratello: egli, infatti, che tu sei tormentato o non lo desidera oppure non lo sa. Perciò le tue lacrime, se egli non sente nulla, sono vane; se sente, sono spiacevoli.
La natura ha dato a tuo fratello la vita, e l'ha data anche a te: e se questa, avvalendosi di un suo diritto, ha preteso da lui il suo debito più in fretta, non si trova in difetto quella, della quale era risaputa la condizione, ma l'ingorda speranza dell'animo umano, la quale, poco alla volta, dimentica che cosa sia la natura e non si ricorda mai della propria sorte se non quando riceve un ammonimento.