Fiere parole di Tarataco

Ad triumphum vocatus est ut ad insigne spectaculum populus. Stantibus in armis praetoriis …

Il popolo viene convocato al trionfo come ad uno straordinario spettacolo. Mentre le coorti del pretorio erano ferme in armi, dapprima avanzavano gli affiliati minori del re, poi furono consegnate le decorazioni militari, i monili e tutte quelle cose che aveva ottenuto con le guerre esterne, subito dopo vennero esibiti i fratelli, la moglie e la figlia, e alla fine Carataco in persona. Le preghiere di tutti gli altri furono vili per la paura di essere colpiti dalla pena capitale: ma il re, senza abbassare il volto, e senza chiedere misericordia con le parole, parlò in questa maniera: Quando ebbi prestigio e buona sorte, non ebbi il controllo delle circostanze favorevoli.

Sarei giunto in questa città piuttosto come un alleato che da catturato, e non avrei rifiutato, dato che sono nato da antenati illustri, e ho comandato su numerosissime popolazioni, d’accettare la pace con un trattato. Se voi volete comandare su tutti, ne consegue che tutti accettino la schiavitù?

Che tutti, arresisi immediatamente, si consegnino? Ritenni questo indegno e tale da non dover essere arrecato né alla mia sorte, né alla tua gloria. Alla mia esecuzione seguirà l’oblio: ma se mi avrete preservato sano e salvo, sarò una prova eterna di clemenza. A quelle parole Cesare concesse il perdono a lui stesso, alla moglie e ai fratelli.

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