CICERONE - De Amicitia (Sull'amicizia) 87-88 testo latino e traduzione

DE AMICITIA 87 DE AMICITIA 88 (Sull'amicizia) - Cicerone
Opera integrale con traduzione italiana

87] Serpit enim nescio quo modo per omnium vitas amicitia nec ullam aetatis degendae rationem patitur esse expertem sui.

Quin etiam si quis asperitate ea est et immanitate naturae, congressus ut hominum fugiat atque oderit, qualem fuisse Athenis Timonem nescio quem accepimus, tamen is pati non possit, ut non anquirat aliquem, apud quem evomat virus acerbitatis suae.

Atque hoc maxime iudicaretur, si quid tale posset contingere, ut aliquis nos deus ex hac hominum frequentia tolleret et in solitudine uspiam collocaret atque ibi suppeditans omnium rerum, quas natura desiderat, abundantiam et copiam hominis omnino aspiciendi potestatem eriperet.

Quis tam esset ferreus qui eam vitam ferre posset, cuique non auferret fructum voluptatum omnium solitudo?

87 L'amicizia, infatti, si insinua, non so come, nella vita di tutti e non permette a nessuna esistenza di trascorrere senza di lei.

Anzi, se un uomo fosse di indole tanto aspra e selvaggia da rifuggire da ogni contatto umano e da detestarlo - un certo Timone, ad Atene, dicono che fosse così -, non potrebbe tuttavia fare a meno di cercare qualcuno cui vomitare addosso il veleno della sua acredine.

Giudicheremmo meglio un tale comportamento se ci capitasse una cosa del genere: un dio ci strappa dal consorzio umano e ci isola in qualche luogo;

qui, fornendoci senza risparmio ogni cosa necessaria alla natura umana, ci priva completamente della possibilità di vedere un altro essere umano. Chi sarebbe così duro da sopportare una vita simile? A chi la solitudine non toglierebbe il frutto di ogni piacere?

[88] Verum ergo illud est quod a Tarentino Archyta, ut opinor, dici solitum nostros senes commemorare audivi ab aliis senibus auditum: 'si quis in caelum ascendisset naturamque mundi et pulchritudinem siderum perspexisset, insuavem illam admirationem ei fore; quae iucundissima fuisset, si aliquem, cui narraret, habuisset. ' Sic natura solitarium nihil amat semperque ad aliquod tamquam adminiculum adnititur; quod in amicissimo quoque dulcissimum est. Sed cum tot signis eadem natura declaret, quid velit, anquirat, desideret, tamen obsurdescimus nescio quo modo nec ea, quae ab ea monemur, audimus. Est enim varius et multiplex usus amicitiae, multaeque causae suspicionum offensionumque dantur, quas tum evitare, tum elevare, tum ferre sapientis est; una illa sublevanda offensio est, ut et utilitas in amicitia et fides retineatur: nam et monendi amici saepe sunt et obiurgandi, et haec accipienda amice, cum benevole fiunt.

88 Allora è vero quanto ripeteva, se non erro, Archita di Taranto (l'ho sentito ricordare dai nostri vecchi che, a loro volta, riportavano il racconto di altri vecchi): «Se un uomo salisse in cielo e contemplasse la natura dell'universo e la bellezza degli astri, la meraviglia di tale visione non gli darebbe la gioia più intensa, come dovrebbe, ma quasi un dispiacere, perché non avrebbe nessuno cui comunicarla.» Così la natura non ama affatto l'isolamento e cerca sempre di appoggiarsi, per così dire, a un sostegno, che è tanto più dolce quanto più caro è l'amico.
XXIV È vero: la natura stessa ci dichiara con tanti segni cosa vuole, cosa ricerca ed esige, ma noi diventiamo sordi, chissà perché, e non diamo ascolto ai suoi avvertimenti. In realtà, i rapporti di amicizia sono vari e complessi e si presentano molti motivi di sospetto e di attrito; saperli ora evitare, ora attenuare, ora sopportare è indice di saggezza. Un motivo di risentimento in particolare non va inasprito, per poter conservare nell'amicizia vantaggi e lealtà: bisogna avvertire e rimproverare spesso gli amici e, con spirito amichevole, bisogna accettare da loro gli stessi rimproveri se sono ispirati dall'affetto.

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