SENECA - Consolazione alla madre Elvia Libro V testo latino e traduzione

CONSOLAZIONE ALLA MADRE ELVIA 5
Consolatio ad Helvia matrem V
Testo latino e traduzione italiana LIBRO V

1. Bona condicione geniti sumus, si eam non deseruerimus. Id egit rerum natura ut ad bene viuendum non magno apparatu opus esset: unusquisque facere se beatum potest.

Leue momentum in aduenticiis rebus est et quod in neutram partem magnas uires habeat: nec secunda sapientem euehunt nec aduersa demittunt; laborauit enim semper ut in se plurimum poneret, ut a se omne gaudium peteret.
2. Quid ergo? sapientem esse me dico? Minime; nam id quidem si profiteri possem, non tantum negarem miserum esse me, sed omnium fortunatissimum et in uicinum deo perductum praedicarem: nunc, quod satis est ad omnis miserias leniendas, sapientibus me uiris dedi et nondum in auxilium mei ualidus in aliena castra confugi, eorum scilicet qui facile se ac suos tuentur.
3. Illi me iusserunt stare adsidue uelut in praesidio positum et omnis conatus fortunae, omnis impetus prospicere multo ante quam incurrant. Illis grauis est quibus repentina est: facile eam sustinet qui semper expectat.

Nam et hostium aduentus eos prosternit quos inopinantis occupauit: at qui futuro se bello ante bellum parauerunt, compositi et aptati primum qui tumultuosissimus est ictum facile excipiunt.
4. Numquam ego fortunae credidi, etiam cum uideretur pacem agere; omnia illa quae in me indulgentissime conferebat, pecuniam honores gratiam, eo loco posui unde posset sine motu meo repetere. Interuallum inter illa et me magnum habui; itaque abstulit illa, non auulsit. Neminem aduersa fortuna comminuit nisi quem secunda decepit.
5. Illi qui munera eius uelut sua et perpetua amauerunt, qui se suspici propter illa uoluerunt, iacent et maerent cum uanos et pueriles animos, omnis solidae uoluptatis ignaros, falsa et mobilia oblectamenta destituunt: at ille qui se laetis rebus non inflauit nec mutatis contrahit. Aduersus utrumque statum inuictum animum tenet exploratae iam firmitatis;

nam in ipsa felicitate quid contra infelicitatem ualeret expertus est.
6. Itaque ego in illis quae omnes optant existimaui semper nihil ueri boni inesse, tum inania et specioso ac deceptorio fuco circumlita inueni, intra nihil habentia fronti suae simile: nunc in his quae mala uocantur nihil tam terribile ac durum inuenio quam opinio uulgi minabatur. Verbum quidem ipsum persuasione quadam et consensu iam asperius ad aures uenit et audientis tamquam triste et execrabile ferit: ita enim populus iussit, sed populi scita ex magna parte sapientes abrogant.

1. Noi siamo nati con una buona natura, sempre che non ce ne allontaniamo. La natura si è data da fare perché non ci fosse bisogno per vivere bene di un grande equipaggiamento: e ciascuno può rendere se stesso felice.

Le circostanze esterne hanno poca importanza e non hanno molta influenza né in un senso né in un altro: le cose favorevoli non esaltano il saggio, né quelle sfavorevoli lo abbattono. Egli, infatti, si è sempre sforzato di fare affidamento solo su se stesso e di cercare in se stesso ogni gioia. 
2. E allora? Dirò di essere saggio? Neanche per sogno. Perché se potessi dichiarare una cosa del genere, non solo negherei di essere infelice, ma sosterrei di essere il più fortunato degli uomini, giunto vicino a dio. Tuttavia, e questo basta a lenire tutti i mali, mi sono affidato agli uomini saggi e, non ancora capace di aiutarmi da solo, mi sono rifugiato nel campo altrui, di quelli, cioè, che sanno con facilità difendere se stessi e i loro cari. 
3. Ed essi mi hanno ordinato di essere sempre vigile, come a un posto di guardia, e di prevedere tutte le mosse e tutti gli assalti della sorte prima che caschino addosso. Essa è dura soltanto per quelli cui giunge improvvisa, mentre la sopporta facilmente chi l'ha sempre aspettata.

Cosi l'assalto dei nemici travolge quelli che si lasciano sorprendere, ma quelli che con anticipo si sono preparati alla guerra, ben equipaggiati e ordinati, facilmente ne sostengono il primo urto che è sempre il più impetuoso. (
4. Io non mi sono mai fidato della fortuna anche quando sembrava promettere pace. Tutti quei beni che generosamente mi concedeva: ricchezze, onori, favori, io li ho tenuti in tale considerazione che essa avrebbe potuto riprenderseli senza che io me ne scomponessi. Ho sempre mantenuto una grande distanza fra loro e me; così essa se li è ripresi, non è che me li ha strappati. La cattiva sorte spezza soltanto colui che si lascia ingannare da quella buona. (
5. Quelli che hanno amato i doni della fortuna come beni personali ed eterni, quelli che per quei doni vogliono farsi ammirare, si abbattono e si disperano quando il loro animo vuoto e puerile, ignaro di ogni gioia duratura, si sente privato di quei falsi ed effimeri diletti. Invece chi non insuperbisce nelle liete circostanze, non si deprime nelle avverse.

Mantiene l'animo saldo nell'uno e nell'altro caso con la sua già provata fermezza, in quanto nella sua stessa felicità ha già sperimentato ciò che occorre per opporsi alla cattiva sorte. (
6. Perciò io ho sempre ritenuto che non vi fosse nulla di buono in quelle cose che tutti desiderano e che io ho sempre trovato vuote e rivestite di colori appariscenti e ingannevoli senza nulla al di dentro che corrispondesse all'apparenza; ora in quelle cose che sono chiamate mali, non trovo nulla di così terribile e insopportabile come fa temere la credenza popolare. La stessa parola, per un certo convincimento e consenso generale, giunge troppo aspra alle orecchie e colpisce chi la ode come qualcosa di sinistro e di odioso; così afferma la gente, ma i saggi, in genere, non badano a ciò che la gente dice.

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