SENECA - Consolazione alla madre Elvia Libro XIII Testo latino e traduzione

CONSOLAZIONE ALLA MADRE ELVIA 13

Consolatio ad Helvia matrem XIII

Testo latino e traduzione italiana LIBRO XIII

1. Responderi potest: 'quid artificiose ista diducis quae singula sustineri possunt, conlata non possunt?

Commutatio loci tolerabilis est, si tantum locum mutes; paupertas tolerabilis est, si ignominia abest, quae uel sola opprimere animos solet.' 2. Aduersus hunc, quisquis me malorum turba terrebit, his uerbis utendum erit: 'si contra unam quamlibet partem fortunae satis tibi roboris est, idem aduersus omnis erit. Cum semel animum uirtus indurauit, undique inuulnerabilem praestat. Si auaritia dimisit, uehementissima generis humani pestis, moram tibi ambitio non faciet; si ultimum diem non quasi poenam sed quasi naturae legem aspicis, ex quo pectore metum mortis eieceris, in id nullius rei timor audebit intrare; 3. si cogitas libidinem non uoluptatis causa homini datam sed propagandi generis, quem non uiolauerit hoc secretum et infixum uisceribus ipsis exitium, omnis alia cupiditas intactum praeteribit. Non singula uitia ratio sed pariter omnia prosternit: in uniuersum semel uincitur.' 4. Ignominia tu putas quemquam sapientem moueri posse, qui omnia in se reposuit, qui ab opinionibus uulgi secessit?

Plus etiam quam ignominia est mors ignominiosa: Socrates tamen eodem illo uultu quo triginta tyrannos solus aliquando in ordinem redegerat carcerem intrauit, ignominiam ipsi loco detracturus; neque enim poterat carcer uideri in quo Socrates erat. 5. Quis usque eo ad conspiciendam ueritatem excaecatus est ut ignominiam putet Marci Catonis fuisse duplicem in petitione praeturae et consulatus repulsam? ignominia illa praeturae et consulatus fuit, quibus ex Catone honor habebatur. 6. Nemo ab alio contemnitur, nisi a se ante contemptus est. Humilis et proiectus animus est isti contumeliae opportunus; qui uero aduersus saeuissimos casus se extollit et ea mala quibus alii opprimuntur euertit, ipsas miserias infularum loco habet, quando ita adfecti sumus ut nihil aeque magnam apud nos admirationem occupet quam homo fortiter miser.

7. Ducebatur Athenis ad supplicium Aristides, cui quisquis occurrerat deiciebat oculos et ingemescebat, non tamquam in hominem iustum sed tamquam in ipsam iustitiam animaduerteretur; inuentus est tamen qui in faciem eius inspueret. Poterat ob hoc moleste ferre quod sciebat neminem id ausurum puri oris; at ille abstersit faciem et subridens ait comitanti se magistratui: 'admone istum ne postea tam inprobe oscitet.' Hoc fuit contumeliam ipsi contumeliae facere. 8. Scio quosdam dicere contemptu nihil esse grauius, mortem ipsis potiorem uideri. His ego respondebo et exilium saepe contemptione omni carere: si magnus uir cecidit, magnus iacuit, non magis illum contemni quam aedium sacrarum ruinae calcantur, quas religiosi aeque ac stantis adorant.

1) Si potrebbe rispondere: "Perché separi artificiosamente delle cose che, singolarmente, sono sopportabili, ma che, riunite, non lo sono più?

Il cambiamento di luogo è sopportabile se si tratta solo di cambiamento; la povertà è tollerabile se è disgiunta dal disonore che, da solo, basta per deprimere l'animo". (2) A chiunque vorrà atterrirmi con questa quantità di mali ci sarà da dir questo: se hai abbastanza forza da resistere a una qualunque forma di sventura, tu l'avrai anche contro tutte le altre: una volta che la virtù ha reso forte l'animo esso sarà invulnerabile sempre. (3) Se ti sei liberato dalla cupidigia, la piaga più terribile del genere umano, l'ambizione non farà presa su di te. Se guardi al tuo ultimo giorno non come a un castigo ma come a una legge di natura, nel tuo cuore, dal quale avrai scacciato il timore della morte, non entrerà nessun'altra paura. Se tu consideri che lo stimolo sessuale non è stato dato all'uomo per il semplice piacere ma per la propagazione della specie e se questo flagello insidioso che si annida fin nelle stesse viscere non ti avrà corrotto, allora ogni altra passione ti lascerà intatto. La ragione non doma i vizi uno alla volta, ma tutti contemporaneamente, e la sua vittoria è completa una volta per tutte. (4) Tu credi che il disonore possa turbare il saggio che ha riposto tutto in se stesso e che si è allontanato dalle opinioni del volgo?

Una morte disonorevole è ben peggiore del disonore. Tuttavia Socrate con lo stesso volto col quale, poco prima, aveva da solo riportato all'ordine i trenta tiranni, entrò in carcere e tolse ogni disonore a quel luogo. Infatti non poteva sembrare più un carcere quel luogo dove c'era Socrate. (5) E chi mai è tanto cieco di fronte alla verità da considerare un disonore la duplice sconfitta di Marco Catone nella candidatura per la pretura e per il consolato? Il disonore fu per la pretura e per il consolato ai quali Catone aveva fatto l'onore di candidarsi. (6) Nessuno è disprezzato dagli altri se non è prima lui stesso che si disprezza. Soltanto un animo mediocre e vile sia esposto a questa offesa: ma chi si erge contro i più crudeli eventi e atterra quei mali sotto i quali gli altri restano schiacciati, considera le sue stesse miserie come qualcosa di sacro, dal momento che noi siamo così fatti che niente muove di più la nostra ammirazione di un uomo forte nelle sventure.

(7) Ad Atene Aristide veniva condotto a morte e tutti quelli che lo incontravano abbassavano gli occhi e piangevano come se si stesse condannando non già un uomo giusto, ma la stessa giustizia. Eppure ci fu un tale che gli sputò in faccia. Egli avrebbe potuto indignarsi poiché sapeva che nessuna bocca leale avrebbe osato questo; invece si pulì il viso e sorridendo disse al magistrato che lo accompagnava: "Avverti costui che, un'altra volta, non sbadigli così sgarbatamente". E questa fu la sua offesa a chi gli faceva offesa. (8) So che alcuni dicono che niente è più grave del disprezzo e che trovano preferibile la morte. A costoro io risponderò che, spesso, anche l'esilio non comporta alcun disprezzo: se un uomo grande cade, è grande anche quando è caduto; non è disprezzato più di quelle rovine di templi sulle quali si cammina, ma che i fedeli venerano ugualmente come se ancora stessero in piedi.

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