Seneca De Providentia - La provvidenza Libro II 1 - 5

Seneca - De Providentia II (Sulla provvidenza)
testo latino e traduzione italiana
LIBRO II 1, 2, 3, 4, 5 passim 1.

'Quare multa bonis viris adversa eveniunt?' Nihil accidere bono viro mali potest: non miscentur contraria.

Quemadmodum tot amnes, tantum superne deiectorum imbrium, tanta medicatorum uis fontium non mutant saporem maris, ne remittunt quidem, ita adversarum impetus rerum viri fortis non vertit animum: manet in statu et quidquid evenit in suum colorem trahit; est enim omnibus externis potentior. 2. Nec hoc dico, non sentit illa, sed vincit, et alioqui quietus placidusque contra incurrentia attollitur. Omnia adversa exercitationes putat. Quis autem, vir modo et erectus ad honesta, non est laboris adpetens iusti et ad officia cum periculo promptus?

Cui non industrio otium poena est? 3. Athletas videmus, quibus virium cura est, cum fortissimis quibusque confligere et exigere ab iis per quos certamini praeparantur ut totis contra ipsos viribus utantur; caedi se vexarique patiuntur et, si non inveniunt singulos pares, pluribus simul obiciuntur. 4. Marcet sine adversario virtus: tunc apparet quanta sit quantumque polleat, cum quid possit patientia ostendit.

Scias licet idem viris bonis esse faciendum, ut dura ac difficilia non reformident nec de fato querantur, quidquid accidit boni consulant, in bonum vertant; non quid sed quemadmodum feras interest. 5. Non vides quanto aliter patres, aliter matres indulgeant? illi excitari iubent liberos ad studia obeunda mature, feriatis quoque diebus non patiuntur esse otiosos, et sudorem illis et interdum lacrimas excutiunt; at matres fovere in sinu, continere in umbra volunt, numquam contristari, numquam flere, numquam laborare.

"Ma se vuole farli degni di sé, per quale ragione Dio manda ai buoni tante disgrazie?" Innanzitutto ti ripeto che a un uomo buono non può capitare nulla che possa dirsi propriamente un male: i contrari, infatti, non si mescolano fra loro.

Come la quantità dei fiumi, delle piogge che cadono dal cielo e delle sorgenti curative non altera la salsedine del mare, né tanto meno l'elimina, così l'assalto delle avversità non intacca l'animo dell'uomo forte: questi rimane saldo nel suo stato e nelle sue convinzioni, piegando gli eventi a sé, non sé agli eventi, perché ha un potere superiore a tutto ciò che lo circonda. Non dico che sia insensibile alle avversità, dico che le vince, e anche se abitualmente è tranquillo e pacifico, quando quelle gli si buttano addosso sa ergervisi contro e rintuzzarle. Per lui le avversità non hanno altra funzione ed altro scopo che di esercitare la sua virtù. E quale uomo, degno di questo nome, che sia dedito all'onestà, non aspira ad essere all'onestà, non aspira ad essere messo giustamente alla prova, o non è pronto a fare il suo dovere anche sapendo di rischiare?

Così l'ozio è una sofferenza per chi sia nato all'azione. Guarda gli atleti, che, attenti come sono alle proprie forze, si battono con avversari più gagliardi di loro, anzi, durante l'esercitazione, chiedono e pretendono dagli allenatori che li preparano alla gara di scaricargli contro tutte le loro energie, e incassano colpi su colpi, e se non trovano uno che sia almeno pari a loro, si battono contemporaneamente con più di un avversario.

La virtù si rammollisce se non ha chi la contrasti, e solo quando dimostra quale peso può reggere rivela la sua grandezza e la sua forza. Convinciti dunque che l'uomo buono deve comportarsi nel medesimo modo: non temere durezze e difficoltà, non lagnarsi se il destino gli &avverso, accogliere come un bene, o trasformarlo in tale, qualunque male gli accada; e non importa quale ma come egli riesce a sopportarlo. Guarda la differenza fra l'amore di un padre e quello di una madre: il padre esige che i figli s'alzino di buon'ora per dedicarsi alle loro occupazioni, non vuole che riposino neppure nei giorni festivi, gli fa versare lacrime e sudore; la madre, invece, vorrebbe coccolarseli in seno, fargli scudo, a difesa d'ogni tristezza, d'ogni pianto e fatica.

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