Seneca De Providentia - La Provvidenza Libro V 1-5

Seneca - De Providentia (Sulla provvidenza) LIBRO V 12, 1, 2, 3, 4, 5 passim testo latino e traduzione italiana

1. Adice nunc quod pro omnibus est optimum quemque, ut ita dicam, militare et edere operas.

Hoc est propositum deo quod sapienti viro, ostendere haec quae vulgus adpetit, quae reformidat, nec bona esse nec mala; apparebit autem bona esse, si illa non nisi bonis uiris tribuerit, et mala esse, si tantum malis inrogauerit. 2. Detestabilis erit caecitas, si nemo oculos perdiderit nisi cui eruendi sunt; itaque careant luce Appius et Metellus. Non sunt diuitiae bonum; itaque habeat illas et Elius leno, ut homines pecuniam, cum in templis consecrauerint, uideant et in fornice. Nullo modo magis potest deus concupita traducere quam si illa ad turpissimos defert, ab optimis abigit. 3. 'At iniquum est uirum bonum debilitari aut configi aut alligari, malos integris corporibus solutos ac delicatos incedere.' Quid porro? non est iniquum fortes uiros arma sumere et in castris pernoctare et pro uallo obligatis stare uulneribus, interim in urbe securos esse praecisos et professos inpudicitiam?

Quid porro? non est iniquum nobilissimas uirgines ad sacra facienda noctibus excitari, altissimo somno inquinatas frui? 4. Labor optimos citat: senatus per totum diem saepe consulitur, cum illo tempore uilissimus quisque aut in campo otium suum oblectet aut in popina lateat aut tempus in aliquo circulo terat. Idem in hac magna re publica fit: boni uiri laborant, inpendunt, inpenduntur, et uolentes quidem;

non trahuntur a fortuna, sequuntur illam et aequant gradus; si scissent, antecessissent. 5. Hanc quoque animosam Demetri fortissimi uiri uocem audisse me memini: 'hoc unum' inquit 'de uobis, di inmortales, queri possum, quod non ante mihi notam uoluntatem uestram fecistis; prior enim ad ista uenissem ad quae nunc uocatus adsum. Vultis liberos sumere? uobisillos sustuli. Vultis aliquam partem corporis? sumite: non magnam rem promitto, cito totum relinquam. Vultis spiritum? quidni nullam moram faciam quo minus recipiatis quod dedisti? A uolente feretis quidquid petieritis. Quid ergo est? maluissem offerre quam tradere. Quid opus fuit auferre? accipere potuistis; sed ne nunc quidem auferetis, quia nihil eripitur nisi retinenti

Va poi considerato un altro fatto: è nell'interesse di tutti che i migliori siano, per così dire, sempre sotto le armi.

Il fine di Dio, che poi è anche quello dell'uomo saggio, è di dimostrare che tutto ciò che si desidera o si teme non è né buono né cattivo, di per sé. Dovrebbe essere un bene ciò che Dio concede solo ai buoni e un male ciò che assegna solamente ai cattivi, ma noi detesteremo la cecità se perdessero gli occhi soltanto quelli che lo meritano, quindi è necessario che perdano la vista anche un Appio e un Metello. Le ricchezze non sono un bene e perciò le possiede pure un magnaccia come Elio, così gli uomini che hanno consacrato il denaro nei templi possono vederlo anche nel postribolo. Dio non avrebbe potuto inventare un espediente migliore per togliere valore alle cose desiderate dagli uomini che dandole ai peggiori e negandole ai migliori. "Ma non è giusto", mi dirai, "che un uomo buono perda una gamba, sia storpiato, trafitto o incatenato, e i cattivi invece se ne vadano in giro col corpo integro e sano, tutti sciolti e schizzinosi." Ah no? E allora è giusto che uomini forti prendano le armi, passino le notti negli accampamenti e montino di vedetta con le ferite ancora fasciate, mentre in città i pervertiti se ne stanno al sicuro esercitando il loro sporco mestiere?

È giusto che delle nobili vergini si alzino di notte per compiere riti sacri mentre le provergini si alzino di notte per compiere riti sacri mentre le prostitute se la dormono saporitamente? La fatica chiama i migliori. Il Senato passa spesso in sedute l'intera giornata e intanto gli sfaccendati nel Campo Marzio si trastullano col loro dolce gli sfaccendati nel Campo Marzio si trastullano col loro dolce far niente, si chiudono in una bettola o consumano il tempo in qualche circolo. Lo stesso accade in questo grande Stato che è l'umana società, dove sono i buoni a faticare, ad impegnarsi, a lasciarsi impegnare, e lo fanno anche volentieri.

Non subiscono la sorte passivamente ma le vanno dietro e si mettono al passo con lei; la precederebbero pure, se conoscessero la strada. Mi ricordo di avere udito da quel fortissimo uomo di Demetrio anche queste ardite parole: "Dio immortale, di una sola cosa ti rimprovero, di non avermi fatto conoscere in anticipo la tua volontà: mi sarei infatti mosso io per primo a quella prova a cui tu ora mi chiami. Vuoi qualche pezzo del mio corpo? Prendilo: non posso darti molto ma presto te lo restituirò tutto intero. Lo vuoi subito? Sia: perché dovrei indugiare a rimettere nelle tue mani ciò che tu m'hai prestato? Sono pronto a restituirti, e di buon grado, tutto ciò che vorrai chiedermi. Questo solo mi dispiace, che avrei preferito offrirti tutte queste cose come beni miei personali, che non si trattasse, cioè, di una restituzione. Con me non avevi bisogno di riprendertele, quando io te le donavo spontaneamente. Ma anche così, dopotutto, non me le porti via, perchè si porta via una cosa solo a chi vuole tenersela".

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