Fiero discorso di un comandante dei Galli - Cesare versione latino versione latino nel biennio

FIERO DISCORSO DI UN COMANDANTE DEI GALLI
VERSIONE LATINO Cesare
due traduzioni diverse per lo stesso titolo
Traduzione dal libro la versione latina nel biennio
Critognatus summo in Arvernis ortus loco et magnae habitus auctoritatis Nolite - inquit - hoc vestro auxilio expollare qui vestrae salutis ...
Testo orginale della versione

Critognatus summo in Arvernis ortus loco et magnae habitus auctoritatis, "Nihil, " inquit, "de eorum sententia dicturus sum, qui...

Traduzione dal libro la versione latina nel biennio
Critognatus summo in Arvernis ortus loco et magnae habitus auctoritatis Nolite - inquit - hoc vestro auxilio expollare qui vestrae salutis ...

Critognato, di alto lignaggio e considerato molto autorevole tra gli Arverni, cosi parlò: " Non vogliate privare del vostro aiuto coloro che a causa della vostra salvezza non si curarono della loro situazione di pericolo e non vogliate distruggere tutta la Gallia e sottometterla ad una perpetua schiavitù per la vostra insensatezza e imprudenza o viltà d'animo. Forse, poiché non sono venuti nel giorno fissato, dubitate della loro fedeltà e forza d'animo? E allora? Credete che i Romani lavorino ogni giorno alle loro fortificazioni esterne per divertimento? Se non potete averne la conferma dai loro messaggi, per la chiusura di ogni passo, disponete di questa prova che conferma l'avvicinarsi del loro arrivo; e (i Romani) spaventati per il timore di questo arrivo, lavorano alle fortificazioni giorno e notte.

Qual'è dunque il mio parere? Fare quello che hanno fatto i nostri antenati nella guerra con i Cimbri ed i Teutoni; essi (gli antenati), ricacciati nelle loro città e prostrati da una tale carestia, si sostentarono (la vita) con i corpi di quelli che per età erano giudicati inutili per la guerra e non si consegnarono ai nemici. E allora, in questa guerra che cosa c'è di simile con quella? I Cimbri, devastata la Gallia e causata una grande distruzione, se ne andarono una buona volta dai nostri confini e si rivolsero ad altri territori; ci lasciarono il diritto, le leggi, i campi e la libertà.

Ma i Romani che cos'altro chiedono o cosa vogliono, spinti dall'invidia verso quelli che, nobili per fama e potenti, hanno conosciuto in guerra se non di stabilirsi nelle loro campagne e città ed infliggere loro un eterna schiavitù? Infatti per nessun'altra condizione sono entrati in guerra!".

Testo orginale della versione

Critognato. persona di altissimo lignaggio tra gli Arverni e molto autorevole, così parlò: "Non spenderò una parola riguardo al parere di chi chiama resa una vergognosissima schiavitù: costoro non li considero cittadini e non dovrebbero avere neppure il diritto di partecipare all'assemblea.

È mia intenzione rivolgermi a chi approva la sortita, soluzione che conserva l'impronta dell'antico valore, tutti voi ne convenite. Non essere minimamente capaci di sopportare le privazioni, non è valore, ma debolezza d'animo. È più facile trovare volontari pronti alla morte piuttosto che gente disposta a sopportare pazientemente il dolore. E anch'io - tanto è forte in me il senso dell'onore - sarei dello stesso avviso, se vedessi derivare un danno solo per la nostra vita. Ma nel prendere la decisione, rivolgiamo gli occhi a tutta la Gallia, che abbiamo chiamato in soccorso. Quale sarà, secondo voi, lo stato d'animo dei nostri parenti e consanguinei, quando vedranno ottantamila uomini uccisi in un sol luogo e dovranno combattere quasi sui nostri cadaveri? Non negate il vostro aiuto a chi, per salvare voi, non ha curato pericoli.

Non prostrate la Gallia intera, non piegatela a una servitù perpetua a causa della vostra stoltezza e imprudenza o per colpa della fragilità del vostro animo. Sì, i rinforzi non sono giunti nel giorno fissato, ma per questo dubitate della loro lealtà e costanza? E allora? Credete che ogni giorno i Romani là, nelle fortificazioni esterne, lavorino per divertimento? Se non potete ricevere una conferma perché le vie sono tutte tagliate, prendete allora i Romani come testimonianza del loro imminente arrivo: è il timore dei nostri rinforzi che li spinge a lavorare giorno e notte alle fortificazioni. Che cosa suggerisco, dunque? Di imitare i nostri padri quando combattevano contro i Cimbri e i Teutoni, in una guerra che non aveva nulla a che vedere con la nostra: costretti a chiudersi nelle città e a patire come noi dure privazioni, si mantennero in vita con i corpi di chi, per ragioni d'età, sembrava inutile alla guerra, e non si arresero ai nemici.

Se non avessimo già un precedente del genere, giudicherei giusto istituirlo per la nostra libertà e tramandarlo ai posteri come fulgido esempio. E poi, quali somiglianze ci sono tra la loro guerra e la nostra? I Cimbri, devastata la Gallia e seminata rovina, si allontanarono una buona volta dalle nostre campagne e si diressero verso altre terre, lasciandoci il nostro diritto, le leggi, i campi, la libertà. I Romani, invece, che altro cercano o vogliono, se non stanziarsi nelle campagne e città di qualche popolo, spinti dall'invidia, appena sanno che è nobile e forte in guerra? Oppure che altro, se non assoggettarlo in un'eterna schiavitù? Non hanno mai mosso guerra con altre intenzioni.

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