La rivolta dei Galli e l'ascesa di Vercingetorige (Versione di latino Cesare)

La rivolta dei Galli e l'ascesa di Vercingetorige
Autore: Cesare tratta da LIMINAE 2

Simili ratione ibi Vercingetorix, Celtilli filius, Arvernus, summae potentiae adulescens, cuius pater principatum Galliae totius obtinuerat et ob eam causam, quod regnum appetebat, ab civitate erat interfectus, convocatis suis clientibus facile incendit.

Cognito eius consilio ad arma concurritur. Prohibetur ab Gobannitione, patruo suo, reliquisque principibus, qui hanc temptandam fortunam non existimabant; expellitur ex oppido Gergovia; non destitit tamen atque in agris habet dilectum egentium ac perditorum. Hac coacta manu, quoscumque adit ex civitate ad suam sententiam perducit; hortatur ut communis libertatis causa arma capiant, magnisque coactis copiis adversarios suos a quibus paulo ante erat eiectus expellit ex civitate. Rex ab suis appellatur. Dimittit quoque versus legationes; obtestatur ut in fide maneant. Celeriter sibi Senones, Parisios, Pictones, Cadurcos, Turonos, Aulercos, Lemovices, Andos reliquosque omnes qui Oceanum attingunt adiungit: omnium consensu ad eum defertur imperium. Qua oblata potestate omnibus his civitatibus obsides imperat, certum numerum militum ad se celeriter adduci iubet, armorum quantum quaeque civitas domi quodque ante tempus efficiat constituit; in primis equitatui studet. Summae diligentiae summam imperi severitatem addit; magnitudine supplici dubitantes cogit. Nam maiore commisso delicto igni atque omnibus tormentis necat, leviore de causa auribus desectis aut singulis effossis oculis domum remittit, ut sint reliquis documento et magnitudine poenae perterreant alios.


Allo stesso modo Vercingetorige convoca i suoi clienti e con facilità li infiamma. Vercingetorige, arverno, era un giovane di grandissima potenza, figlio di Celtillo, che aveva ottenuto il principato su tutta la Gallia e, reo di aspirare al trono, era stato ucciso dal suo popolo. Non appena vengono conosciute le intenzioni del giovane, si corre alle armi. Gli si oppongono suo zio Gobannizione e gli altri capi, che non erano dell'avviso di tentare l'impresa: viene cacciato dalla città di Gergovia; ma non desiste e assolda, nelle campagne, i poveri e i delinquenti. Raccolto un pugno d'uomini, guadagna alla sua causa tutti i concittadini che riesce ad avvicinare, li incita a prendere le armi per la libertà comune. Raduna ingenti forze ed espelle dalla città quegli stessi avversari che, poco prima, avevano bandito lui. I suoi lo proclamano re. Invia ambascerie in tutte le direzioni, esorta alla lealtà. In breve tempo unisce a sé i Senoni, i Parisi, i Pictoni, i Cadurci, i Turoni, gli Aulerci, i Lemovici, gli Andi e tutti gli altri popoli che si affacciano sull'Oceano.

Per consenso generale, gli viene conferito il comando supremo. Assunto il potere, esige ostaggi da tutti i popoli suddetti, ordina la rapida consegna di un determinato contingente di soldati, stabilisce la quantità di armi che ciascun popolo, nei propri territori, doveva fabbricare ed entro quale termine. Si preoccupa in particolare della cavalleria. Accompagna lo straordinario zelo con un'assoluta inflessibilità nel comando; grazie alla severità dei provvedimenti tiene a freno chi è titubante. Infatti, per un delitto piuttosto grave condanna alla morte tra le fiamme e tormenti d'ogni genere, mentre per una colpa di minor entità punisce tagliando le orecchie o cavando un occhio, e rimanda il reo in patria, che sia di monito, per atterrire gli altri con l'atrocità delle pene.

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