Sconforto dei Romani prima di una battaglia (Versione di latino Cesare)

Sconforto dei Romani prima di una battaglia
Autore: Cesare
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Latino-Laboratorio 1 pag. 418 n. 28

Dum paucos dies ad Vesontionem rei frumentariae commeatusque causa moratur, ex percontatione nostrorum vocibusque Gallorum ac mercatorum, qui ingenti magnitudine corporum Germanos, incredibili virtute atque exercitatione in armis esse praedicabant, tantus subito timor omnem exercitum occupavit, ut non mediocriter omnium mentes animosque perturbaret. Hic primum ortus est a tribunis militum, praefectis reliquisque, qui ex urbe amicitiae causa Caesarem secuti non magnum in re militari usum habebant. Quorum alius alia causa inlata, quam sibi ad proficiscendum necessariam esse diceret, petebat ut eius voluntate discedere liceret; nonnulli pudore adducti, ut timoris suspicionem vitarent, remanebant. Hi neque vultum fingere neque interdum lacrimas tenere poterant; abditi in tabernaculis aut suum fatum querebantur aut cum familiaribus suis commune periculum miserabantur. Vulgo totis castris testamenta obsignabantur. Horum vocibus ac timore paulatim etiam ii qui magnum in castris usum habebant, milites centurionesque quique equitatui praeerant, perturbabantur.


Vulgo totis castris testamenta obsignabantur. Horum vocibus ac timore paulatim etiam ii qui magnum in castris usum habebant, milites centurionesque quique equitatui praeerant, perturbabantur.
Mentre ci si attardava per pochi giorni nei pressi di Vesonzione per l’approvvigionamento del grano, in seguito ad un’indagine fra i nostri e alle dicerie dei Galli e dei mercanti, i quali andavano dicendo che i Germani erano di gigantesca corporatura e di incredibile valore ed esperienza nelle cose di guerra, all’improvviso tutto l’esercito fu pervaso da un timore così forte da sconvolgere grandemente le menti e gli animi di tutti. Tale spavento originò dapprima dai tribuni militari, dai prefetti e da tutti gli altri che, avendo seguito Cesare dalla città per amicizia, non avevano grande dimestichezza nell’arte della guerra. Adducendo chi un pretesto, chi l’altro, che dicevano fosse loro tassativo per andarsene, chiedevano che fosse consentito allontanarsi col suo consenso; alcuni, spinti dalla vergogna, restavano per non destare il sospetto di avere paura.

Questi ultimi non potevano né fingere l’impassibilità né trattenere le lacrime di tanto in tanto; nascosti nelle tende o si lamentavano del loro destino o compiangevano con i loro intimi il comune pericolo. Dovunque (=vulgo=avverbio) in tutto l'accampamento si facevano testamenti. I discorsi e la paura di questi, a poco a poco, impressionavano anche quelli che avevano grande esperienza (=usm) nelle battaglie (castra, ae): legionari, centurioni e quelli che sovraintendevano alla cavalleria(=che erano a capo della cavalleria)

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Ex percontatione nostrorum vocibusque Gallorum ac mercatorum, qui ingenti magnitudine corporum Germanos, incredibili virtute atque exercitatione in armis esse praedicabant (saepe numero sese cum his congressos ne vultum quidem atque aciem oculorum dicebant ferre potuisse), tantus subito timor omnem exercitum occupavit ut non mediocriter omnium mentes animosque perturbaret. Hic primum ortus est a tribunis militum, praefectis, reliquisque qui ex urbe amicitiae causa Caesarem secuti non magnum in re militari usum habebant: quorum alius alia causa inlata, quam sibi ad proficiscendum necessariam esse diceret, petebat ut eius voluntate discedere liceret; non nulli pudore adducti, ut timoris suspicionem vitarent, remanebant. Hi neque vultum fingere neque interdum lacrimas tenere poterant: abditi in tabernaculis aut suum fatum querebantur aut cum familiaribus suis commune periculum miserabantur.

Vulgo totis castris testamenta obsignabantur
i Galli e i mercanti, interrogati dai nostri soldati, andavano dicendo che i Germani erano uomini dal fisico imponente, incredibilmente valorosi e avvezzi al combattimento; spesso li avevano affrontati, ma non erano neppure riusciti a sostenerne l'aspetto e lo sguardo. Di colpo, in seguito a tali voci, un timore così grande si impadronì dei nostri, da sconvolgere profondamente le menti e gli animi di tutti. Dapprima, si manifestò tra i tribuni militari, i prefetti e gli altri privi di grande esperienza militare, che avevano seguito Cesare da Roma per ragioni di amicizia.

Tutti adducevano scuse, chi l'una, chi l'altra, sostenendo di avere dei motivi che li costringevano a partire, e ne chiedevano a Cesare il permesso. Alcuni, trattenuti dalla vergogna, rimanevano, per non destare sospetti di timore, ma non potevano contraffare l'espressione del volto, né talora trattenere le lacrime; al sicuro, nelle loro tende, si lamentavano del loro destino o compiangevano con i loro amici il comune pericolo. In ogni angolo dell'accampamento si facevano testamenti

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Dum paucos dies ad Vesontionem rei frumentariae commeatusque causa moratur, ex percontatione nostrorum vocibusque Gallorum ac mercatorum, qui ingenti magnitudine corporum Germanos, incredibili virtute atque exercitatione in armis esse praedicabant (saepe numero sese cum his congressos ne vultum quidem atque aciem oculorum dicebant ferre potuisse), tantus subito timor omnem exercitum occupavit ut non mediocriter omnium mentes animosque perturbaret. Hic primum ortus est a tribunis militum, praefectis, reliquisque qui ex urbe amicitiae causa Caesarem secuti non magnum in re militari usum habebant: quorum alius alia causa inlata, quam sibi ad proficiscendum necessariam esse diceret, petebat ut eius voluntate discedere liceret; non nulli pudore adducti, ut timoris suspicionem vitarent, remanebant. Hi neque vultum fingere neque interdum lacrimas tenere poterant: abditi in tabernaculis aut suum fatum querebantur aut cum familiaribus suis commune periculum miserabantur. Vulgo totis castris testamenta obsignabantur. Horum vocibus ac timore paulatim etiam ii qui magnum in castris usum habebant, milites centurionesque quique equitatui praeerant, perturbabantur. Qui se ex his minus timidos existimari volebant, non se hostem vereri, sed angustias itineris et magnitudinem silvarum quae intercederent inter ipsos atque Ariovistum, aut rem frumentariam, ut satis commode supportari posset, timere dicebant.

Non nulli etiam Caesari nuntiabant, cum castra moveri ac signa ferri iussisset, non fore dicto audientes milites neque propter timorem signa laturos.
Nei pochi giorni in cui Cesare si trattenne a Vesonzione per rifornirsi di grano e di viveri, i Galli e i mercanti, interrogati dai nostri soldati, andavano dicendo che i Germani erano uomini dal fisico imponente, incredibilmente valorosi e avvezzi al combattimento; spesso li avevano affrontati, ma non erano neppure riusciti a sostenerne l'aspetto e lo sguardo. Di colpo, in seguito a tali voci, un timore così grande si impadronì dei nostri, da sconvolgere profondamente le menti e gli animi di tutti. Dapprima, si manifestò tra i tribuni militari, i prefetti e gli altri privi di grande esperienza militare, che avevano seguito Cesare da Roma per ragioni di amicizia. Tutti adducevano scuse, chi l'una, chi l'altra, sostenendo di avere dei motivi che li costringevano a partire, e ne chiedevano a Cesare il permesso. Alcuni, trattenuti dalla vergogna, rimanevano, per non destare sospetti di timore, ma non potevano contraffare l'espressione del volto, né talora trattenere le lacrime; al sicuro, nelle loro tende, si lamentavano del loro destino o compiangevano con i loro amici il comune pericolo.

In ogni angolo dell'accampamento si facevano testamenti. I discorsi e la paura di questa gente, a poco a poco, impressionavano anche le persone provviste di grande esperienza militare: legionari, centurioni e capi della cavalleria. Chi voleva apparire meno pusillanime diceva di paventare non tanto il nemico, quanto la strada molto stretta e l'estensione delle foreste che li dividevano da Ariovisto, oppure di avere paura che il frumento non potesse essere trasportato tanto facilmente. Alcuni avevano addirittura riferito a Cesare che, all'ordine di togliere le tende e di avanzare, i soldati non avrebbero obbedito, né levato il campo, terrorizzati com'erano.

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