Discorso a Sulpicio - Cicerone versione latino

DISCORSO A SULPICIO Versione di latino di CICERONE LIBRO N. P.

Testo latino: Quaeritur consul qui dicendo non numquam comprimat tribunicios furores, qui concitatum populum flectat, qui largitioni resistat....

Traduzione letterale

Ci vuole un console che trattando sia capace di frenare gli eccessi dei tribuni, che sia capace di persuadere il popolo esacerbato, che sia capace di resistere alla corruzione.

Non è cosa straordinaria, se per questa qualità gli uomini spesso anche non nobili conseguirono il consolato, specialmente perché si procura queste medesime cose parecchi favori, saldissime amicizie, grandissimi appoggi. Di queste cose in codesta vostra professione, o Sulpicio, non c’è niente. Per prima cosa il prestigio in una così scarsa erudizione non ci può essere; difatti gli argomenti di poco conto sono stati impegnati vicino nelle singole lettere anche nelle interpunzioni delle parole.

Quindi, anche se presso i nostri antenati ci fu qualcosa di ammirazione in codesta passione, ciò è stato totalmente disprezzato e gettato via dai vostri misteri rivelati. Si potrebbe procedere nel rispetto della legge o non, pochi anticamente sapevano. Difatti avevano i giorni fausti col volgo. Avevano grande autorità coloro che prendevano provvedimenti. E da essi anche si stabilva il giorno come dai Caldei. Si trovò uno scriba, Cn. Flavio, che caverà gli occhi alle cornacchie (ingannerà i più cauti) e divulgherà i giorni fausti al popolo con l’imparare i singoli giorni e da queste stesse disposizioni sfruttare la conoscenza del loro giureconsulto.

Perciò quelli adiratisi, perché avevano paura che si potesse procedere nel rispetto della legge senza la loro opera divulgata e conosciuta la disposizione dei giorni, composero alcuni vocaboli affinché essi stessi partecipassero ad ogni cosa.

Traduzione libera più elegante

Il console si vuol tale che, occorrendo, freni con la sua parola le intemperanze dei tribuni, disvii l'eccitamento popolare, fronteggi ogni tentativo di corruzione.

Nessuna meraviglia, dunque, se in virtù di queste attitudini hanno talvolta ottenuto la suprema magistratura anche uomini nuovi: tanto più che esse son tali da cattivare larghe simpatie, saldissime amicizie, forti appoggi. Di che, o Sulpicio, non v'è traccia in quel vostro Mestiere!Anzitutto, in quella così angusta disciplina quale autorità può esserci? Povero il suo contenuto, e quasi dominato dal gioco delle parole, delle lettere, delle interpunzioni.

E poi: se pure presso i nostri antichi codesta attività fu oggetto di qualche ammirazione, ormai, rivelato il vostro arcano, essa è del tutto spregiata e disertata. Un tempo era noto a pochi quando si poteva, o non si poteva, agire in giudizio, perché non era a disposizione di tutti l'elenco dei giorni fasti e nefasti. Grande potere esercitavano i giureconsulti, che venivano interpellati anche sulla scelta del giorno, quasi fossero maghi caldei: finché capitò un tale scrivano, Gneo Flavio, che cavò gli occhi alle cornacchie e svelò al popolo, perché fosse edotto sui singoli giorni, i misteri del calendario, facendo così man bassa, negli scrigni stessi dei giureconsulti, della loro scienza.

Ond'è che questi ultimi, arrabbiatissimi e timorosi che una volta divulgata e imparata la cabala fosse possibile agire giudizialmente senza il loro aiuto escogitarono formule speciali attraverso le quali intrufolarsi in ogni affare

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