Gli dei architetti e reggitori dell'universo (Versione latino Cicerone)

Gli dei architetti e reggitori dell'universo versione latino Cicerone

Igitur hoc iam a principio persuasum civibus dominos esse omnium rerum ac moderatores deos eaque quae gerantur eorum geri iudicio ac numine eosdemque optime de genere hominum mereri et qualis quisque sit quid agat quid in se admittat qua mente qua pietate colat religiones intueri piorumque et impiorum habere rationem.

His enim rebus inbutae mentes haud sane abhorrebunt ab utili aut a vera sententia. Quid est enim verius quam neminem esse oportere tam stulte adrogantem ut in se rationem et mentem putet inesse in caelo mundoque non putet? Aut ut ea quae vix summa ingenii ratione moveri putet?

Quem vero astrorum ordines quem dierum noctiumque vicissitudines quem mensum temperatio quemque ea quae gignuntur nobis ad fruendum non gratum esse cogunt hunc hominem omnino numerari qui decet? ...

Sia dunque chiaro ai cittadini questo fin dall'inizio, che gli dèi sono padroni e reggitori di tutto l'universo, e che tutto quello che viene compiuto, è compiuto con il loro giudizio e la loro volontà, e che essi medesimi sono i maggiori benefattori del genere umano.

Essi scorgono quale ciascun uomo sia, che cosa faccia, che cosa abbia nel suo intimo, con quale animo e quale pietà coltivi la religione, e inoltre essi tengono conto dei pii e degli empi; e se gli animi assorbiranno questi principii, è certo che non si allontaneranno mai da idee valide e veraci. Cosa vi è infatti di più vero del fatto che nessuno debba essere superbo in una forma tanto sciocca, da credere di avere dentro di sé intelletto e ragione, e negarlo nel cielo e nel mondo?

O da pensare che [nessuna] mente governi il movimento di quegli oggetti che a mala pena [possono essere conosciuti da una mente] sia pure di grandissima capacità? Perché mai conviene includere tra gli uomini uno che non si senta costretto alla gratitudine dall'ordine degli astri, dall'altemarsi dei giorni e delle notti, dal variare della temperatura e da tutto ciò che nasce per il nostro vantaggio? In fondo, poiché tutto ciò che è fornito di ragione è superiore a ciò che è privo della ragione, e non è lecito affermare che una singola individualità sia superiore all'universale, si dovrebbe aver fiducia che esista in questa universale natura l'esistenza di una ragione.

E chi negherebbe che queste idee siano valide, se ci rendiamo conto di quanti patti si rafforzano con un giuramento, quanto vantaggio apportino gli accordi solenni, quanti siano quelli allontanatisi dalla colpa per il timore della punizione divina, e quanto sia sacra l'unione dei cittadini, quando fra di loro si inseriscono gli stessi dèi immortali, talora come giudici, talora come testimoni? Ecco qui il fondamento della legge; così infatti lo definisce Platone.

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