I cittadini imitano sempre i loro capi

( M. TVLLI CICERONIS : DE LEGIBUS LIBER TERTIVS )

Quis enim ferret istos, cum videret eorum villas signis et tabulis refertas, partim publicis, partim etiam sacris et religiosis, quis non frangeret eorum libidines, nisi illi ipsi qui eas frangere deberent cupiditatis eiusdem tenerentur?

Chi infatti avrebbe sopportato (ferret = cong. imperfetto da “fero, fers, tuli, latum, ferre”: porto, sopporto) costoro, quando avesse visto le loro ville piene di statue e quadri, in parte pubblici e in parte anche sacri e religiosi? Chi non avrebbe posto fine alle loro intemperanze, se coloro stessi i quali avrebbero dovuto infrangerle non fossero stati preda della loro stessa esosità?

Nota:  consecutio temporum:  le proposizioni dipendenti sono tutte al congiuntivo imperfetto: l’imperfetto è un tempo storico e designa,...


XIV Nec enim tantum mali est peccare principes, quamquam est magnum hoc per se ipsum malum, quantum illud quod permulti imitatores principum existunt. Nam licet videre, si velis replicare memoriam temporum, qualescumquc summi civitatis viri fuerint, talem civitatem fuisse; quaecumque mutatio morum in principibus extiterit, eandem in populo secutam.

Né difatti (seppure sia già di per sé un grande male) il fatto che i principi pecchino è un male grande quanto il fatto che ne sorgano molti imitatori. [Latteralm: né infatti il peccare dei principi è tanto un male, quanto questo: il fatto che (quod) sorgono tanti imitatori dei principi]. È infatti facile vedere, se vogliamo tornare indietro nel tempo (replicare memoriam temporum), c (secutam [esse]: inf. passato di secuor, verbo deponente) uno analogo nel popolo.

[32] Idque haud paulo est verius, quam quod Platoni nostro placet. Qui musicorum cantibus ait mutatis mutari civitatum status: ego autem nobilium vita victuque mutato mores mutari civitatum puto.

E non di poco è più vero di ciò che piace al nostro Platone (secondo il quale, mutati i canti dei musici, muta anche la mentalità dei cittadini), quel che piuttosto ritengo vero io: cioè che, mutati la vita e lo stile dei nobili, mutano anche i costumi della cittadinanza. [Latteralm: E ciò non di poco è più vero di ciò che piace al nostro Platone, il quale (Qui) sostiene che, mutati i canti dei musici, muta anche la mentalità dei cittadini: io invece credo che, mutati la vita e lo stile dei nobili, mutano anche i costumi della cittadinanza.]

Quo perniciosius de re publica merentur vitiosi principes, quod non solum vitia concipiunt ipsi, sed ea infundunt in civitatem, neque solum obsunt quod ipsi corrumpuntur, sed etiam quod corrumpunt, plusque exemplo quam peccato nocent.

Quanto più danno fanno allo stato i capi viziosi [Latteralm: Quanto (quo) più perniciosamente (perniciosius) i principi viziosi si adoperano per la cosa pubblica], dal momento che non solo si consegnano essi stessi ai vizi, ma li diffondono nella città; né fanno danno solo poiché essi stessi sono corrotti, ma anche perché corrompono, e più nuocciono con l’esempio che con il peccato.

Atque haec lex, dilatata in ordinem cunctum, coangustari etiam potest: pauci enim atque admodum pauci honore et gloria amplificati vel corrumpere mores civitatis vel corrigere possunt. Sed haec et nunc satis, et in illis libris tractata sunt diligentius. Quare ad reliqua veniamus.

Inoltre (la portata di) questa legge (generale), pur estesa a tutto l’ordine (dei nobili, sottint.), può anche essere ridimensionata: difatti pochi ed anche pochissimi individui, resi celebri dall’onore e dalla gloria, possono tanto corrompere quanto correggere i costumi della città. Ma queste cose sono state trattate sia nei nostri tempi (nunc), sia in modo più diligente in quei libri (…intendi: scritti in tempi antichi). Perciò vogliamoci alle cose del passato. (by Adriano)

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